L'associazione persegue finalità di solidarietà sociale, civile e culturale, con l’obiettivo di informare e tutelare i cittadini delle zone incluse nel cratere sismico del 6-4-2009, per ottenere il pieno riconoscimento dei nostri diritti di procedere alla ricostruzione e riqualificazione partecipata delle zone danneggiate, secondo i criteri della massima trasparenza e della maggior efficacia, scongiurando il rischio di smembramento e dissoluzione socio-culturale delle popolazioni colpite.

TESTO INTEGRALE DELLO STATUTO

IL NUOVO SITO INFORMATIVO




ULTIMO AGGIORNAMENTO 10 Gennaio 2011



L'AQUILA RINASCE ANCHE A PIAZZA D'ARMI




Dopo l'incontro svoltosi il 28 marzo scorso ad iniziativa di alcuni cittadini aquilani, desiderosi di attivarsi per il recupero e la riqualificazione di uno spazio tanto grande e tanto trascurato come Piazza d'Armi, oggi così importante per i risvolti sociali delle sue possibili destinazioni.Il gruppo organizza un nuovo momento di incontro per Sabato 17 aprile, a partire dalle ore 15.
I partecipanti saranno coinvolti nella raccolta di proposte per l'utilizzo futuro dello spazio e invitati ad essere "Progettisti per un Giorno".
Ognuno a suo modo potrà infatti disegnare il suo ideale recupero di Piazza d'Armi, con appositi colori, su carte fornite dagli organizzatori.
ci sarà spazio per i bambini che potranno costruire i loro aquiloni e fare altri giochi. Si continuerà nella pulizia dell'area degradata raccogliendo i rifiuti.
Occasioni di aggregazione e partecipazione come queste, consentono di recuperare uno spazio abbandonato a se stesso, ma soprattutto testimoniano un diffuso bisogno di socializzazione(come quello che tutti abbiamo sperimentato nel passarci secchi di macerie o nel ritrovarci nei parchi con i bambini, felici di liberare palloncini accompagnati dalle nostre speranze. Dimenticare per un attimo il proprio orticello e dedicarsi a un bene collettivo, fa assaporare il privilegio di immedesimarsi nell’altro, abbandonando l'individualismo che in un contesto sociale difficile come quello attuale, renderebbe impossibile la vera ripresa della città.)
Rifiutando ogni possibile strumentalizzazione, tanti aquilani vogliono quindi riprendere in mano le redini della loro vita e contribuire fattivamente alla rinascita del loro territorio duramente colpito, senza intermediari, non da spettatori ma da protagonisti.
Per questo, i cittadini di Piazza d'Armi chiedono che a poter fruire di questo spazio sia anzitutto la collettività con il recupero e l'ampliamento degli spazi verdi trascurati, per soddisfare il proprio bisogno di socializzazione, lavoro, cultura e svago. I promotori auspicano il coinvolgimento della cittadinanza all'iniziativa e tornano a chiedere il diritto di condividere le scelte istituzionali sui progetti già esistenti per Piazza d'Armi, ovvero: il ripristino delle strutture sportive,l'insediamento del mercato ambulante di Piazza Duomo e l'attuale progetto dell'arch. Mario Cucinella per un teatro eco-sostenibile da realizzare in loco (http://www.edilportale.com/news/2010/02/architettura/mario-cucinella-disegna-un-teatro-per-l-aquila_17905_3.html),

PARTECIPATE CON

palloni, buste colorate per la spazzatura e per gli aquiloni, fili resistenti al vento, pennarelli, guanti da lavoro, secchi, chi vuole, la carriola e.... spazio alla fantasia


 
Comunicato successivo all’iniziativa svolta

PIAZZA D'ARMI, GIARDINO DI SPERANZE


Piazza d'Armi è sempre stata molto "vissuta" dalla cittadinanza aquilana nella parte destinata allo sport, nonostante il degrado e l'abbandono degli ultimi anni.
Ora, questo enorme spazio appartiene nella sua totalità, che comprende anche il settore inutilizzato dell'ex demanio militare, all'Amministrazione Comunale, quindi a noi cittadini.
Per questi motivi abbiamo proposto l'iniziativa che si è svolta nel pomeriggio di domenica 28 marzo, a Piazza d'Armi.
I cittadini intervenuti hanno ripulito la parte antistante l'entrata del campo ed hanno creato un piccolo giardino con piante fiorite , lasciato come segno di speranza per la riqualificazione di tutta la zona. Al centro del giardino, sono state poste una pianta arborea a fioritura primaverile di colore rosso e una rosa, che continueranno a fiorire come segno d'amore per la nostra città. E' stata inoltre avviata una raccolta di idee e proposte sulle possibili opportunità di fruizione dell'intero complesso di Piazza d'Armi .
Ancora una volta, si è dimostrato che la cittadinanza è una risorsa, se viene fatta partecipare.
Dall'Amministrazione Comunale ci aspettiamo il riconoscimento dell'importanza della partecipazione civica, attraverso un percorso di conoscenza, confronto e quindi condivisione di progetti su Piazza d'Armi e altri spazi (come Parco del Sole e Parco del Castello), necessari in questo momento critico e pieno di difficoltà, per restituire alla cittadinanza occasioni di socializzazione e ripresa psicologica.
Ciò, unitamente alla tempestiva approvazione, in Consiglio Comunale, del regolamento di partecipazione e trasparenza, peraltro già esaminato dalla Commissione Regolamenti, svilupperebbe un nuovo rapporto di fiducia tra l'Amministrazione Pubblica e la Cittadinanza, aspetto determinante della vera rinascita di una Comunità solidale e consapevole, non solo "virtualmente"

Lettera a Bruno Vespa

Gentile Dott. Vespa,
sono "coloro che si dissociano" a scriverle.
Da Aquilano, spero che spenda giusto due minuti del suo tempo per leggere questa lettera.Siamo un gruppo di persone nato sul social network Facebook subito dopo l'intervento di alcuni nostri concittadini nel corso della sua trasmissione televisiva dedicata all'anniversario del sisma.
Da cosa ci dissociamo? Non di certo dalla libertà di manifestare il proprio pensiero nella maniera che si ritiene più opportuna, dall'esigenza di chiedere garanzie e progetti chiari a Governo e Istituzioni, dal desiderio di partecipare fattivamente o vigilare sulla ricostruzione, quanto dall'ergersi a rappresentanti dell'intera popolazione colpita dal sisma per trasmettere un messaggio di ingratitudine e prepotenza.
Non tutti gli Aquilani criticano la Protezione Civile e il famigerato progetto C.A.S.E., che ha garantito a buona parte dei cittadini di avere un tetto sicuro sopra la testa prima del freddo inverno aquilano, che sarebbe stato difficile da affrontare in abitazioni provvisorie. Ci teniamo a sottolineare che ci sono anche gli Aquilani grati ai Vigili del Fuoco, alla Protezione Civile, alla Croce Rossa, al Comune, Provincia, Regione e Governo. Questo non vuol dire credere ciecamente che a L'Aquila vada tutto bene e che il miracolo si sia compiuto, ma neanche rinnegare tutto ciò che è stato realizzato in quest'ultimo anno, perché peccheremmo di poca obiettività. A L'Aquila c'è ancora molto da fare, noi confidiamo nell'operato delle istituzioni sopra citate per la ricostruzione, ma saremo vigili e disposti a farci sentire se non si manterranno le promesse fatte finora. Siamo un gruppo di cittadini eterogenei, che prima di identificarsi in una parte politica, si identificano nella loro amata città e che si dissocia da tutti coloro che non sono riusciti ad evitare sterili polemiche e accuse, persino nelle ventiquattro ore di lutto cittadino, fischiando durante la lettura delle lettere dei Presidenti della Repubblica e del Consiglio, e del capo della Protezione Civile. Il tutto durante la fiaccolata commemorativa per ricordare le nostre vittime del sisma.L'Aquila non è solo questa, né solo quella che avete visto in diretta da Piazza Duomo durante la puntata. C'è anche una parte della città che si è sentita in imbarazzo e per questo chiediamo scusa a chi ha lavorato per noi, e li ringraziamo per l'aiuto che ci hanno portato e che vorranno ancora portarci.Siamo assolutamente coscienti che molti sono i problemi da affrontare per far rinascere la città, la ricostruzione urbana, sociale ed economica, la rimozione delle macerie, ma siamo anche consapevoli che la nostra è una città d'arte, è una città storica, e ci vorrà del tempo per tornare a vederla bella e sana com'era fino alle 3.32 del 6 Aprile 2009.
La ringraziamo per il il tempo che ci ha concesso.
Coloro che si dissociano

AD REPRIMENDAM AUDACIAM AQUILANORUM

CRONACA E ANALISI DEL
PROCESSO INTENTATO DA BRUNO VESPA CONTRO IL DISSENSO AQUILANO
L’Aquila, 15-4-2010
Antonello Ciccozzi
Ricercatore di Antropologia culturale presso l’Università degli Studi dell’Aquila, cittadino
indignato.
A scanso di equivoci preciso che non sono legato organicamente al cosiddetto “popolo delle carriole” (credo
nessuno lo sia, ma dai media potrebbe apparire una realtà diversa), o a comitati vari (per essere precisi
l’unico comitato a cui diedi adesione formale è “Un manifesto per l’Aquila” che però da vari mesi non è più
attivo.Ho partecipato da subito dopo il terremoto al dibattito e alle pratiche sull’Aquila post-sismica


Prima parte
ANTEFATTO: I FISCHI AQUILANI A BERLUSCONI
Che brutta figura hanno fatto i poteri locali e nazionali la sera del primo anniversario del
terremoto aquilano: pesantemente confutati nel loro tentativo di speculare sulla solenne
ricorrenza usandola come palcoscenico per una rappresentazione di efficienza
istituzionale, si ritrovano castigati attraverso una liberatoria contestazione spontanea
partita dalla gran parte dei cittadini radunatisi in piazza Duomo. La gente ha capito la
piazzata di questo inutile consiglio comunale: la discrezione del lutto diventa pretesto per
imporre il silenzio alla cittadinanza, e innestare su ciò la pretesa di usare l’anniversario per
una volgare sfilata propagandistica di pret-a-porter amministrativo. In rivolta non solo
“comunisti” o “no global”, ma la maggior parte della gente, gente “normale”, come quelli
delle carriole, e non solo. Poi, addirittura, durante la lettura del messaggio inviato da
Berlusconi, l’apoteosi: “i fischi hanno superato di molto gli applausi”, così riportava
l’ANSA. Molti giornali italiani hanno stampato notizie simili più o meno stemperate, e in
Europa lo stesso. Anche in America il Washington Post s’è accorto che L’Aquila - città
ferita da un terremoto e stuprata da una pseudo ricostruzione finalizzata prima al profitto
che alla gente - è contro il Governo.
Devo essere sincero: data l’indignazione accumulata durante quest’anno mi sento anch’io
come una pentola a pressione, e non mi sarebbe dispiaciuto affatto buttare qualche
genuino e catartico improperio, ma ero arrivato un po’ tardi e sia il tendone che gli spazi
intorno erano già strapieni. Poi era talmente tanta la gente che già lo faceva che sono
rimasto senza fiato, quasi in contemplazione estatica, ai bordi della piazza ad ammirare,
ancora una volta, come finalmente succede qui da qualche settimana, una città
sinceramente in rivolta. Pieno di gente che faceva casino, dentro e fuori il tendone. Tanti, e
per qualcuno troppi. Un putiferio di fischi. Che emozione. Che gioia. Che brutta figura. A
questo punto le cose sono due: o il Governo ha speculato sul terremoto (vai a sapere,
magari facendo profitto e propaganda), o gli aquilani sono degli ingrati. A questo punto la
città si è ribellata, e in un mondo retto dai media quei fischi sono fucilate1.
UN GIUDICE PRIMO IN CLASSIFICA (E IL SUO CONFLITTO D’INTERESSI)
Così Bruno Vespa, che con la televisione ci sa fare, il giorno dopo ha pensato bene di
arredare velocemente una puntata del suo “Porta a porta” per ristabilire un po’ d’ordine,
mimetizzando nel titolo “L’Aquila quando rinasce?” 2 un processo ai terremotati dissenzienti. “Ad reprimendam audaciam aquilanorum!”, è l’iscrizione che ricorda agli
aquilani come nel XVI secolo gl’invasori spagnoli repressero la coraggiosa ribellione
popolare contro la dominazione: il viceré di Spagna Don Pedro da Toledo impose di erigere
un’enorme fortezza militare, lasciando tuttavia alla storia uno dei più importanti
monumenti dell’Aquila. Grazie a Bruno Vespa questo motto rinascerà degradato nella
trasfigurazione “preferivate stare nei container?”. Il tutto per motivare e difendere la
pretesa miracolistica di un’opera di urbanizzazione cheoltre a dare un tetto che sarebbe
potuto costare molto meno, ha alimentato, con il pretesto dell’emergenza, un sistema di
profitto sugli aiuti, ha assolto una funzione propagandistica attraverso l’ostentazione della
monumentalità spicciola delle “new town”, e ha prodotto – a causa dell’incompetenza e
della corruzione delle elite locali – una territorialità malata che peserà sulle nostre vite per
lungo tempo. Oggi nel motto coniato da Bruno Vespa per difendere l’opera del “viceré”
Bertolaso e quella del “sovrano” Berlusconi c’è un punto interrogativo, perché quella frase
è nel nostro caso una minaccia che ci dice di stare zitti e ringraziare, di fare in fondo il
nostro ruolo di abruzzesi forti e gentili, sopportando con mansuetudine, pena la gogna
dello stereotipo di “INGRATI!”.
Si annuncerà una puntata fantastica per il giornalista aquilano, che si è da poco piazzato
al primo posto assoluto come “personaggio più deplorevole dell’entourage berlusconiano”3;
superando anche Emilio Fede, che però ormai per eccesso osceno e plateale di parzialità
non fa più scandalo: Vespa riesce ancora a far credere a un numero consistente di persone
di essere imparziale, e questo lo rende il numero uno di un ben occultato ministero della
propaganda. Bruno Vespa. Non uno fra tanti, ma primo nell’affollato plateau dei cortigiani
di Berlusconi. Il numero uno. Certo, si dirà che la classifica viene da un giornale -
l’Espresso - che dà l’impressione di essere schierato contro il nostro attuale sovrano; ma il
risultato pone in questo caso un problema su cui almeno gli aquilani dovrebbero riflettere
al di là delle ascendenze politiche attraverso cui si prova forse a dividerli e distrarli dal
valore comune di una ricostruzione partecipata e sostenibile.
Bruno Vespa - ricco borghese romano ormai da tempo - rivendicando origini e proprietà
aquilane, esibisce un’appartenenza che gli conferisce partecipazione emotiva al dramma
del terremoto. Se Vespa partecipa al pathos per la ricostruzione dell’Aquila, e partecipa al
sostegno per il Governo, come fa a giudicare in modo equilibrato, ossia (equi)distante, il
dissenso degli aquilani contro il Governo? Evidenziate queste premesse è ineluttabile che
egli è, nella sua persona, costitutivamente e quindi aprioristicamente immerso, appunto, in
quello che da qualche anno si suole definire come “conflitto d’interessi”. Già il solo essersi
messo in mezzo configura, in un’apparente aporia, un piano d’ipocrisia. Vespa sostiene un
Governo che sostiene delle scelte economiche, L’Aquila ha bisogno di una ricostruzione
basata su priorità socio-culturali locali prima che su interessi politico-economici nazionali.
Le necessità di ricostruzione della città possono andare in conflitto con quelle economiche
del Governo. Se i bisogni reali della città vanno contro quelli del Governo che succede sotto
il tavolo di “Porta a porta”? O fa un passo indietro il Governo o lo fa la città.
E nei fatti Vespa, come sempre, anche questa volta dà più di un’impressione di stare da
una parte, e contro un’altra; di usare la sua posizione di potere mediatico e la sua presunta
aquilanità per sostenere il Governo nell’affare del cosiddetto “terremoto d’Abruzzo”, contro
la città, contro chi ci vive per davvero, e s’impegna per seguitare a farlo. Nei fatti Bruno
Vespa dà l’impressione di essere un giudice, di uno che in un contenitore di giornalismo
neutrale mimetizza alcune funzioni fondamentali di un ministero della propaganda.
3 http://espresso.repubblica.it/dettaglio/cortigiani-ditalia:-vince-bruno-vespa/2124431
3
IL RIMEDIO MEDIATICO
Quando ci vuole ci vuole. Riducendo il dissenso epocale che sta montando in città
all’espressione di pochi ingenui autoeletti rappresentanti del “popolo delle carriole”, si
perverrà a una facile sentenza di condanna d’ingratitudine, passando per l’olio di ricino dei
containers.
Una carriola - con tanto di macerie all’interno - è piazzata a fare bella mostra di sé in
mezzo allo studio; intorno all’oggetto gli ospiti, tra cui spicca la “destrissima” giovane
ministro della Gioventù Giorgia Meloni. A suo fianco il presidente della Provincia di Roma
Nicola Zingaretti, uno di centro-sinistra a fare da avvocato degli aquilani, perché siamo in
democrazia a un po’ di contraddittorio bisogna metterlo per onorare il principio della
“rappresentazione di tutte le parti in causa”4 e quindi giocare sulla loro manipolazione più
o meno corretta, attraverso tempi e regia, dispensando sottili sgambetti o elogi a seconda
della parte. Per non lasciare sguarnita la parte emotiva, compaiono anche Michele Placido
che parla di Silone, e i genitori di una ragazza vittima del sisma. Arriveranno in seguito
altri due “terremotati” e due “esperti”. Infine, oltre la carriola, ci sono ad arredare lo studio
anche Chiodi e Cialente, presenti come siamo abituati ormai da tempo a vederli quando
hanno a che fare con gente più potente di loro: sornione il primo e svaporato il secondo.
Due collegamenti esterni. Il primo ha come protagonista Guido Bertolaso, che - in gran
rispolvero dopo le recenti accuse di corruzione - parla maestosamente da una sala di
controllo, con la maglietta della Protezione Civile; e, sopra una grossa scritta che lascia
leggere “lavori di esecuzione”, non uno ma otto monitor accesi alle sue spalle, che
riempiono lo sfondo con immagini del progetto C.A.S.E.. Appare granitico il Commissario
del fare, del “lavoro”, delle “c.a.s.e.”, l’eroe delle emergenze a cui Vespa ha già dedicato lo
spazio che si merita in altre recenti puntate del programma, tra cui quella “Un servitore
dello Stato nel mirino dei giudici”; un titolo di navigata sagacia, una presentazione che è
già occasione per un elogio (“servitore dello Stato”) e quindi per un sospetto di immotivata
e violenta aggressione (“nel mirino”).
CARRIOLE RATTRAPPITE
L’altro collegamento è per il movimento denominato dai media il “popolo delle carriole”,
o meglio per tre cittadini che un po’ ingenuamente si prestano a fare da imputati in questa
trappola tesa nel tentativo di screditare mediaticamente la genuina indignazione di una
parte enorme della città. I tre sono in piazza Duomo, lo stesso luogo dell’offesa della sera
prima al Governo, al freddo sotto la chiesa simbolo delle “Anime sante”; al loro fianco una
ventina di concittadini con lo striscione “verità e giustizia”, davanti a tutti tre carriole con
pale e secchi all’interno. Un presepe. Già è in atto il processo di rattrappimento della
carriola, da simbolo di autonomia e di rivolta, a degradato elemento folkloristico. “Toro
seduto al circo”, così si dice per descrivere a sottrazione di valore a persone o oggetti, attraverso una semplice operazione di de-contestualizzazione. Già da subito la carriola è
sottilmente declassata a conca di rame dell’abruzzese “forte e gentile”, marker identitario e
stereotipo tradizionalista del montanaro che, come abbiamo capito da tempo, facilmente
degenera in sottinteso eufemismo di “cafone-allocco”.
Con altri concittadini mi trovo, appena fuori dalla gittata delle telecamere, ai bordi di
questa mediatica graticola dell’ingratitudine; siamo da subito perplessi per questa
iniziativa. Sarà perché scopriamo presto che si tratta di una finta diretta, di un programma
che andrà in onda due ore dopo (e eventualmente c’è tutto il tempo di tagliare proteste
forti, che così sono scoraggiate). È abbastanza chiaro che si giocherà a ridurre a retorica
sconclusionata i contenuti della carriola-conca, al fine di riempirli di ottusa ingratitudine.
Disapproviamo variamente lo slancio dei tre che si sono prestati al gioco di Vespa in quel
modo che già pare grottescamente ingenuo; ma, come si suol dire, nel rispetto della
volontà altrui, restiamo a vedere un po’ inquieti come si sviluppa la cosa. Settimane
d’impegno civile e di risultati storici già minacciano di finire degradati al quadretto di
qualche ingrato borghesotto che, stordito dal terremoto e probabilmente indottrinato dai
comunisti, farnetica sparutamente poco chiare invettive contro il palese miracolo del
Governo benefattore, illudendosi di poter fare l’operaio che ricicla le macerie; una
minoranza di scriteriati, generosamente e pazientemente ascoltati solo per paternalistico
spirito di sacrificio democratico.
Il processo ha inizio. Ecco le fasi salienti. Alla ministra Meloni il compito di iniziare a
introdurre l’asse principale di discriminazione: quando Vespa, coinvolgendosi attraverso
un “noi” di apprensiva partecipazione, le chiede genericamente se “ce la faremo”, ella
risponde che francamente ce l’abbiamo già fatta perchè in Umbria dopo tredici anni
qualche famiglia vive ancora in un container. La cornice è pronta: DA UN LATO I
CONTAINERS DELL’UMBRIA, DALL’ALTRO LE FAVOLOSE C.A.S.E. DEL DUO
BERTOLASO-BERLUSCONI.
Tale e quale al bieco santino elettorale propinato a tappeto ai terremotati aquilani per le
elezioni provinciali: “Umbria e Marche 1997, Governo Prodi, ad oggi ancora Container per
famiglie – Abruzzo 2009 Governo Berlusconi, ad oggi Case antisismiche per famiglie”; poi
sotto la scritta: “Il governo dei fatti, la differenza che conta!”; e dietro: “la dignità
dell’uomo e della famiglia prima di tutto!”. È raro vedere una prova così volgare di
degradazione del diritto a favore. Ecco che già si delinea la finestra di decontestualizzazione
del titolo del programma: dalla maschera del titolo “L’Aquila quando
rinasce” si passa a “i containers o le c.a.s.e.”, “la protesta o il lavoro”, “le opinioni o il fare”.
Varie coniugazioni del rozzo, antidiluviano manicheismo del regime mediatico di
Berlusconi mimetizzato in forma di democratica legittimità: “l’odio o l’amore”.
In seguito parte un servizio sul centro storico deserto, dove, dall’eloquente concretezza
della città in macerie, un anziano signore, uno che più popolare non si può, che si dichiara
felicemente residente nel progetto c.a.s.e. (deportato a 10km dalla città, quando si sarebbe
potuto costruire in prossimità della periferia), denigra pesantemente e senza mezzi termini
le manifestazioni del popolo delle carriole, sottolineando l’impossibilità di rientrare subito
e l’ipocrisia della pretesa che lo spalare le macerie possa essere lavoro concreto (sentenzia
che: “a dirlo così è tutto facile, io mò direi a quelli con le carriole: bene, per un anno, gratis,
lavorate…levate, levate…ta vedè come se la squagliano!”). Il significato simbolico della
protesta, ampio, che dovrebbe riguardare una richiesta di autonomia nella ricostruzione, di
riappropriazione partecipativa della città, è già appiattito a quello pratico del lavoro; e ciò è
proferito non da Bertolaso, ma da un anziano aquilano ineluttabilmente popolare (già di
per sé emanante saggezza e autenticità) che riprende un concetto identico a quello
5
espresso proprio da Bertolaso per denigrare il movimento. Il rito è confuso con la pratica,
l’emblema è ridotto all’oggetto.
Quando la parola va ai tre che si sono variamente e imprudentemente fatti eleggere a
“rappresentanti del popolo delle carriole” s’inizia con la giostra dell’ingenuità, e non solo
perché nessuno si accorge che a questo punto già ci sarebbe da scardinare il frame imposto
dalla conduzione: la cornice dei containers della Meloni e delle carriole impietosamente
degradate dal vecchio aquilano da simbolo di rivolta a indice di lavoro manuale. No: il
primo intervistato si sbilancia dichiarando di parlare a nome di tutta la città, rivelando così
non solo una pretesa eccessiva, ma anche inesperienza riguardo i più elementari codici di
movimento rispetto alla questione fondamentale della “rappresentatività” (che Vespa userà
in chiusura di trasmissione sottolineando beffardamente che “quando c’è la democrazia le
città decidono di nominarsi i loro amministratori”). Subito dopo l’intervistato annuncia di
avere quattro domande, ma elenca da un foglio solo tre punti confusi, di cui unicamente il
primo è una domanda comprensibile sul mancato allarme, il secondo è un’osservazione
confusa, il terzo un vago auspicio. Dopo una presentazione del genere Vespa deve aver
capito subito che può giocare al gatto e al topo, e chiede ad un altro: “che cosa non vi
convince di questa ricostruzione?”, per avere una risposta titubante, sfocata e retorica sulla
“differenza tra quello che si pensa nelle stanze del potere e quello che invece si pensa”,
seguita da una poco incisiva lamentela per l’impedimento ad occuparsi da subito delle
case, e da un’imprudente accusa alla Meloni per non essere venuta a L’Aquila di persona.
A questo punto Vespa inizia a percorrere la strada dell’ingratitudine da ottusità
bacchettando le ansie di rientrare a casa, dichiarando che in Friuli, a Gemona: “le persone
sono state messe nei containers e poi sono andate negli alberghi della costa. A nessuno è
stato consentito di andare nel centro di Gemona a riprendersi casa sua, perché purtroppo
ci sono delle priorità, ci sono delle stazioni di via crucis da rispettare […]. Sto parlando del
Friuli dove la ricostruzione è stata meravigliosa, al contrario di quella della Campania”.
Attenzione, si delinea qui la chiamata in causa di una griglia stereotipica importante: a
Nord i terremoti virtuosi, a Sud quelli viziosi; e la minaccia per gli aquilani di finire nel
“girone dei dannati” con l’accusa d’ingratitudine.
Poi interpella la Meloni, la quale - avendoli fatti qualche volta i cento chilometri tra
Roma e L’Aquila - si ritrova il regalo insperato di poter sostenere che: “rischiamo di non
accendere adeguatamente i riflettori sul lavoro che è stato fatto!”. Siamo al grottesco: dopo
un anno di propaganda a tappeto sulla città, dopo una sequenza martellante di quotidiane
passerelle mediatico-propagandistiche in cui solo nei cessi - e nemmeno sempre - si poteva
stare senza telecamere, dopo tutto questo alla ministra viene fornita su un piatto d’argento
l’occasione di affermare che i riflettori non sono stati accesi abbastanza sul miracolo
aquilano. Può andare peggio di così? Sì.
LA FUCILAZIONE
Il momento topico si apre dopo un po’, quando la linea torna a piazza Duomo, i figuranti
con lo striscione “verità e giustizia” si sono dileguati, un po’ per il freddo un po’ per la
prima figura, e la terza rappresentante del popolo delle carriole prende parola dichiarando,
stavolta efficacemente, che le carriole “hanno voluto squarciare un velo sul finto miracolo
aquilano che l’informazione sta facendo passare da un anno su questa città”. Per qualche
istante pare vada meglio. L’esposizione prosegue un po’, ma Vespa non accetta le accuse di
mistificazione; sta subendo l’efficacia del tono puntuale sincero, così devia forzosamente
6
sulla domanda chiave dell’impianto accusatorio: “preferivate stare nei container?”. C’è
titubanza nel rispondere, si sente dall’altro carriolante un vago e impaurito: “ma che modo
è di ragionare!?!”. Vespa prontamente coglie che è il momento dell’affondo. La domanda
viene reiterata fra il conduttore e l’inviata cinque volte, con serrata severità, in un atto di
violenza verbale che svela un’ossessione da inquisitori. A rivedere il tono e i modi di questi
“giornalisti” provo fastidio. Mi sento offeso, guardo più volte le immagini di questa
“tonnara” sotto la chiesa delle Anime Sante, penso alla fandonia del “rappresentare tutte le
parti” con qui questi millantano di fare informazione corretta, vedo miei concittadini,
persone che vivono un dramma enorme e cercano di fare qualcosa, offesi profondamente
come se fossero dei cialtroni delinquenti. Mi viene da vomitare. L’intervistata dichiara che
la domanda è mal posta, ma, senza spiegare perché, dice che si rifiuta di rispondere. La
sensazione della trappola è percepita, ma non arriva ad essere razionalizzata e rilanciata
contro l’aggressore. In questo contesto il rifiuto di rispondere suona come una resa, è
l’errore più grave. Qui un conduttore scorretto può sfondare. Ed è quello che avviene.
Siamo allo sciacallaggio semiotico, e Vespa ora sembra un avvoltoio che, in un impeto
crescente di frenesia alimentare, si avventa sui carriolanti che vede già carcassa.
E non è solo: in un clima di forte e sempre maggiore agitazione, l’inviata coglie l’attimo e
entra anch’essa in frenesia, chiedendo molto aggressivamente ad un altro dei tre, quasi
gettandoglisi sopra: “scusi, allora qual’era l’alternativa secondo lei?!?”. La risposta data
abbozza delle argomentazioni spendibili ma purtroppo mescolate in modo tentennante e
confuso: “l’alternativa non era fare quelle case, che è solo la terza fase, quelle sono
definitive in qualche modo. L’alternativa era…cioè, voglio dire, dal terremoto del Friuli
adesso ci stanno quindici anni vent’anni di differenza”. Vespa interrompe con inclemente
fiscalità: “trentaquatto per la verità!”, come se si trattasse di un punto che inficia l’intero
discorso (mentre semmai lo andrebbe a rafforzare). Dice “per la verità”, come se qualcuno
stesse mentendo. L’intervistato prosegue: “la tecnologia va avanti, ci sono casette che sono
molto migliori di quelle che hanno realizzate qui sopra”.
Vespa chiede allora, con un tono di scocciato paternalismo che è già giudizio inquisitorio:
“dove le ha viste?!? dove stanno?!?”, poi subito prosegue agganciando la ramanzina di
fondo: “in Umbria, alcuni, gli ultimi, pochissimi per fortuna, sono ancora nei container!!!”,
per seguitare, scandendo con tono severo e lapidario: “vorrei sapere in quale zona del
mondo ci sono delle sistemazioni, a pochi mesi da un terremoto, migliori di quelle che
sono state fatte a L’Aquila. Dove?!?”. Non serve che l’intervistato abbia già risposto,
durante la domanda, titubante ma sincero, e impedito dal volume del microfono abbassato
dalla regia: “a Onna per esempio” (infatti a Onna Berlusconi inaugurò indebitamente le
case d’emergenza donate dalla regione autonoma del Trentino, e finite prima di quelle del
Governo, Vespa celebrò la farsa, con il sindaco dell’Aquila in trasmissione che non si
azzardò a svelare la finzione). Non serve. Perché, già prima della fine della domanda
stizzita di Vespa, la regia alza il volume su un puntuale applauso del pubblico; quindi tra lo
scrosciare di mani subito il conduttore dà un’altra indispettita stoccata, il colpo di grazia.
Infatti c’era una sorpresa: “è bene che io faccia vedere il pubblico, perché non è una clac
ma sono i Vigili del Fuoco, e li ringrazio anche a nome vostro se permettete!. Va bene?!?
Ecco qua!!!”.
Tra mixer e regia devono aver fatto un lavoro di gran tempismo ad alzare il volume in
sala, perché gli applausi, pur non essendo molti, sono partiti al momento giusto e sono
stati da subito generosamente amplificati, producendo un piccolo oceano di frastuono.
L’inquadratura va alla ministra Meloni che applaude e scuote la testa sdegnata con la bocca
corrugata e gli occhi spalancati che invadono schermo, poi la regia stacca stretta su un
vigile che applaude. La sentenza d’ingratitudine è solennemente pronunciata, la fucilazione
avviene attraverso il microfonicamente simulato fragore dell’applausino dei Vigili del
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Fuoco, gli eroi indiscussi dell’emergenza, riciclati ora come autorità morale e come
esecutori di una condanna partita dall’accusa del vecchio aquilano. Una condanna severa
contro la “clac” dei carriolanti, che - dulcis in fundo - Vespa si cura di redimere in estrema
unzione dal peccato originale, ringraziando i Vigili al posto loro. Terremotati ingrati!
MI RITROVO IN MEZZO
Come ho prima detto, ero lì al bordo della scena insieme ad altri dissenzienti come me
che - sapendo che mi ero occupato in dettaglio della questione “case/containers” da subito
e vedendo una deleteria indecisione negli intervistati - mi spronavano caldamente ad
intervenire in un vernacolare “dai, vagli a dà ‘na mano che stann’a ffa na figur’e mmerda”.
L’invito aumentava con l’aumentare della tensione. Molte delle persone orbitanti nella
magmatica sfera della cittadinanza attiva avrebbero potuto rispondere forse meglio dei tre
sotto fucilazione, non perché più “bravi”, ma perché più addentro alla questione sin
dall’inizio: il caso ha voluto che questi carriolanti siano entrati nel dibattito post-sismico
da poco tempo, e siano perciò meno smaliziati sulla questione delle tipologie abitative
emergenziali, su costi e possibilità alternative (altre case rispetto a quelle imposte dal
Governo e altri container rispetto a quelli dei terremoti passati). Queste furono questioni
del dibattito cittadino fino all’estate scorsa.
Paradossalmente, rispetto a un inizio scadente, gl’intervistati non sono andati “male”
rispetto ai contenuti nella fase topica, ma hanno ceduto all’attacco a causa di una poca
puntualità, chiarezza, incisività. È anche questo un elemento che rivela la faziosità di Vespa
e rende ancora più sospettabile di tradimento la sua proclamata apprensione da
appartenenza verso le sorti della città. In tutti i modi, la rabbia per quello che vedo supera
la ritrosia e mi faccio convincere. Glielo devono dire loro al tanto informato Bruno Vespa
che non ci sono solo quelle c.a.s.e. e che non ci sono solo i container del passato? Possibile?
Ho da tempo notizia che lo sa, quindi lo nasconde. Provo rabbia. Così, mentre lo studio
celebra gli applausi sparati dai Vigili ingaggiati per l’occasione e scoperti a sorpresa per il
gran finale, vengo portato dentro la scena; uno dei tre mi vede e chiede immediatamente
all’inviata di farmi parlare.
Vespa seguita subito, sempre più lapidario e ad alta voce: “la domanda è dove nel mondo
è stato fatto di meglio, dove?!?”. L’inviata m’invita a rispondere, e lo faccio con queste
parole: “credo che questo sia un modo scorretto di comunicare perché non si può ridurre
tutto a un’alternativa polare, ossia a una logica del terzo escluso. Non è questione ‘o accetti
le c.a.s.e. o i container’. Il punto è questo: le c.a.s.e. sono costate cifre enormi, le piastre
antisismiche sono state motivate come necessarie, quando non sono necessarie. Ci sono
tipologie costruttive che permettono di evitarle”. Il padrone di casa abbassa nettamente il
tono di voce e mentre ancora parlo mi dice: “questo è un suo parere, questo è un altro
discorso”. Ribatto immediatamente in modo deciso: “no! Non è un mio parere, non è un
mio parere, questo è un fatto”.
Le emissioni si accavallano. Mentre parlo il conduttore si blocca un attimo, china la testa,
si tocca la fronte con la mano destra. Parte il campanello della trasmissione insieme alla
chiassosa sinfonia del jingle della sigla, il gong che all’occorrenza mimetizza la censura che
Vespa pratica sistematicamente nei momenti di empasse. Il conduttore annuncia: “allora,
scusate, scusatemi, io faccio entrare due persone, scusate….forse ci aiutano un momento”.
Invita i professori Andrea Carandini e Pierluigi Nicolin, mentre mi indica e promette
all’inviata: “adesso torniamo Vittoriana, calma, calma…vorrei chiedere proprio per
rispondere a questo signore, proprio un parere a Nicolin”. Ricevo da subito l’impressione
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che ho messo in mezzo al discorso il tema del profitto sottolineandolo come scelta fuori
dalla necessità, perciò la censura va in porto. La deriva pericolosa del profitto viene
deviata e estinta, grazie anche alla ripresa smania degli altri rappresentanti del “popolo
delle carriole”.
Infatti, per il resto della trasmissione chiedo all’inviata di poter proseguire il discorso
che mi è stato interrotto, ma inutilmente. Fuori dal collegamento ella confabula con la
cuffia, si consulta con la regia, mi dice, “sì, sì, adesso la faccio parlare al prossimo
collegamento”; ma puntualmente mi evita, poi inizia a dirmi che il mio intervento “non era
previsto”. I tre delle carriole non manifestano nessun tipo di coordinamento, e in qualche
caso, specialmente ora che le acque si sono calmate, mi pare che si stia lì a fare a gara tra
chi riesce a farsi dare il microfono dall’inviata Vittoriana Abate, che così sceglie secondo i
suoi comodi. Essendosi piazzato davanti, chiedo due volte a uno di loro, che si stringe a
“Vittoriana” chiamandola per nome, la cortesia di aiutarmi a finire di parlare, ma non c’è
da fare: pur essendo lo stesso che sostiene di esprimersi a nome di tutta la cittadinanza
mostra di non ascoltare nemmeno chi gli sta di fianco, così mi ritrovo in concorrenza con
uno che non rivela la bontà di sacrificare un’occasione di farsi vedere in tv.
Tra le “truppe della liberazione aquilana”, di cui a mio modo anch’io mi fregio di far
parte, oltre a conclamate dosi di storicizzabile audacia, non si è immuni dai soliti effetti
perversi del collettivismo che con varia incidenza periodicamente si manifestano. Voglio
dire che in quest’esercito di condottieri più o meno mancati scarseggiano i soldati semplici
e ci si scopre a volte in un congestionante pullulare di tratti o disturbi narcisistici più o
meno conclamati, manie di grandezza, variamente striscianti, eccessi di autostima,
protagonismi vari. Così, dopo un anno di ortodosse lotte varie contro Berlusconi e
Bertolaso, mi ritrovo all’improvviso a chiedermi chi è più coglione: io o questo che mi sta
di fianco. Nel dubbio lascio perdere. Prendersela con le istituzioni, con il potere, con i
padroni o che dir si voglia può avere un che di romantico che rende dolce l’antagonismo;
ma scoprirsi - fuori dalla grazia di qualsiasi elementare grammatica ribelle - a fare a
gomitate in questo modo, anche tra chi “la Bastiglia” la dovrebbe assaltare (e poi nel nostro
caso l’”assalto alla Bastiglia” sarebbe difendere la “baracca”), è patetico e avvilente. Così
dopo poco mi tiro indietro, e rimango sconcertato a osservare questo circo. Mi sembra di
stare in un casting di qualche reality. Se lo avessi immaginato non mi sarei fatto trascinare
nemmeno a forza. Ma ormai è fatta.
Quindi, mentre mi ritrovo riconfermata la censura in modo ancora più sottile anche
grazie a quest’efflorescenza di varia umanità, l’intervistato “accreditato” interviene e fa un
ulteriore regalo a Vespa riguardo l’opposizione “container-case”. Non scardina la polarità
precisando che ci sono molte tipologie di case (meno costose) e molte di containers (più
vivibili); ma, dopo aver seguitato dare delle proclamazioni a nome dell’Aquila intera, si
assume come esempio sostenendo che per lui l’alternativa è casa sua, affermando che il
succo del problema sarebbe che il progetto c.a.s.e. è stato destinato non solo a chi rientrerà
a casa tra quindici anni, ma anche a quelli che, come lui, sarebbero potuti rientrare a casa
assai prima, in tre mesi dice.
Questa dichiarazione - oltre a magnificare il progetto c.a.s.e. per i quindicimila che
hanno aspettative di rientro di molti anni - dà a Vespa l’occasione di annunciare un
solenne “troppa grazia!” per questo “giovanotto” che ha avuto pure una casa che non si
meritava; e quindi subito dopo bacchettare il sindaco Cialente imputando a lui
l’assegnazione scriteriata delle c.a.s.e., e poi i ritardi per la ricostruzione. La risposta del
sindaco a queste gravi accuse - utili di riflesso alla redenzione della Protezione Civile da
qualsiasi errore che anzi risulta santificata per un miracolo finanche eccessivo - è, come
sempre, inconsistente e spesso incomprensibile. Non stupisce che, per tutta la
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trasmissione, il nostro primo cittadino abbia fatto passivamente da discarica istituzionale,
sorbendosi ogni critica d’inefficienza, senza opporsi minimamente al disegno di Vespa di
attribuire tutti i meriti al Governo e alla Protezione Civile e tutti i demeriti
all’amministrazione locale (che certo ne ha, ma non da sola).
Comunque, lasciando stare il Sindaco, ecco l’imparzialità di Bruno Vespa. Qualcuno
penserà che si trattava di tre sprovveduti, diventati al massimo quattro gatti col
sottoscritto, ma quello che è andato in scena nella data cruciale dell’anniversario del sisma
è stato un processo mediatico contro il diritto della città di esprimere dissenso verso
l’operato del governo, strozzando un dibattito complesso e articolato in una grettamente
violenta polarizzazione “case o containers”. Lì non c’erano solo loro o io, c’erano anche le
migliaia di persone che hanno sostenuto le carriole; ma non solo, e questo vorrei che si
capisse: lì c’era il diritto di una città di non essere stuprata da una (ri)costruzione votata
prima al profitto che alla gente. Lì è stato posto un paletto di senso comune nazionale
secondo il quale chi all’Aquila dissente è ingrato. Questo non è accettabile. Domenica sto
con le carriole, che avranno tanti difetti, ma almeno vogliono bene a L’Aquila.

MAI PIU' SENZA DI NOI

Al Presidente Berlusconi, Sottosegretario Bertolaso, Ministra Prestigiacomo, Presidente Chiodi e al Sindaco Cialente

A undici mesi dal terremoto, dopo la prima domenica con le carriole, vi siete accorti del problema macerie: riunioni ai Ministeri, grande agitazione del Commissario e del Primo cittadino, parto di un’ordinanza che stabilirebbe modi e criteri per la rimozione.
Insomma le carriole hanno posto con forza il problema e non avete potuto non dare una risposta.
Quindi, tutto finito. Cosa? Gli aquilani continuano ogni domenica con le pale e con i secchi? E a che serve, abbiamo fatto l’ordinanza, è tutto risolto! Ma che vogliono ancora?
Il fatto per voi incomprensibile è che oggi da una città distrutta parta un messaggio trasversale a tutto il Paese: MAI PIU’ SENZA DI NOI.
Che vi piaccia o no, cari signori, la realtà è questa: nelle decisioni sul nostro futuro dobbiamo avere voce in capitolo.
Lo vogliamo con determinazione, non lo chiediamo, è un diritto che ci siamo conquistati. Non vi rimane che farci i conti, non potete più ignorarci, non avete più la forza per farlo. E’ un dato di fatto ormai acquisito.
Dopo la cricca di sciacalli e iene ridens al seguito dell’Uomo solo al comando, dopo le debolezze e le incapacità dimostrate in questi mesi dai nostri amministratori locali, avete perso ogni credibilità e autorevolezza agli occhi di tutti. Fatevene una ragione.
Potete produrre immagini stile “Istituto Luce” nelle scuole mentre accarezzate bambini, protetti da un imponente schieramento di forze dell’ordine. Non serve a nulla, in cuor vostro lo sapete anche voi, la stagione del reality show, del “decido tutto io”, degli appalti agli amici degli amici è finita.
Ora ci siamo noi, rassegnatevi, il sistema gelatinoso Balducci-Anemone-Piscicelli da noi non funziona. Qui quella notte nessuno rideva.
Prima lo capite, meno tempo si perde. Troppi ritardi si sono accumulati per causa vostra.

ABBIAMO AVANZATO DA TEMPO PROPOSTE PER AFFRONTARE E RISOLVERE IL PROBLEMA DELLE MACERIE E DELLA RICOSTRUZIONE: CONCRETE, TECNICAMENTE AVANZATE, ECOLOGICHE, ECONOMICHE E DI FORTE IMPATTO PER LA RINASCITA DEL TERRITORIO: INVESTIMENTI E POSTI DI LAVORO. CI HANNO LAVORATO INGEGNERI, ARCHITETTI, PROFESSORI UNIVERSITARI, SEMPLICI CITTADINI CON DELLE IDEE CONCRETE.
Da mesi vi chiediamo udienza per poter contribuire a risolvere i nostri problemi. Nessuna risposta, non ci riconoscete nemmeno la dignità all’ascolto.
VI RINNOVIAMO L’INVITO AD APRIRE UN TAVOLO DI DISCUSSIONE APERTO TRA LE ISTITUZIONI NAZIONALI, QUELLE LOCALI E I CITTADINI PER CONCERTARE UN PIANO PER LE MACERIE E, IN GENERALE, PER LA RICOSTRUZIONE DELLE NOSTRE CITTÀ, DELLE NOSTRE ECONOMIE, DELLE NOSTRE VITE.
VI CONVIENE ADERIRE, SE CI VIENE NEGATO LO SPAZIO PER IL CONFRONTO ABBIAMO DIMOSTRATO CHE SAPPIAMO PRENDERCELO DA SOLI. Nonostante ordinanze comunali e schieramenti di polizia.

Credete di liquidarci con qualche battuta (Bertolaso: “il problema delle macerie non si risolve con le carriole”. Ma va?) e intanto decidete da soli cosa fare. Non avete il coraggio di entrare nel merito delle questioni, soluzioni concrete alla mano. Non ve lo potete permettere, siete deboli.
Non siamo così irresponsabili da lasciare nelle vostre mani le sorti dei nostri territori. Non ce lo possiamo permettere.
Avete dimostrato che da soli combinate disastri e seminate corruzione: non avete prevenuto prima (ma come fate a dormire con questo peso?), non avete ricostruito dopo, avete scritto delle ordinanze che stanno in piedi meno delle nostre case. Quando vi fu fatto notare che erano necessari dei correttivi, rispondeste sicuri “sono perfette!”. Risultato ad un anno: i lavori, in moltissimi casi, devono ancora partire. I 2-3 mesi per la riparazione delle case lievemente danneggiate, rischiano di diventare 2-3 anni. Quanti soldi buttati in alberghi e affitti!
Di abitazioni seriamente danneggiate e zona rossa usiamo la cortesia di non parlarne, sarebbe purtroppo come sparare sulla Croce Rossa.
Provate a rimpallarvi le responsabilità: dalla Protezione Civile (mai responsabile, sempre perfetti!), al Governo, passando per Regione e Comune. Il giochetto non funziona, da noi si usa la palla ovale, non puoi prevederne i rimbalzi, a volte ti sbatte in faccia.

Questo caos, il clima di incertezza che favorisce lo spopolamento delle città, questi ritardi sono purtroppo voluti, non conseguenza di errori. I soldi per la ricostruzione, voi lo sapete bene, non ci sono. Lo sa anche la Corte dei Conti quando nella sua relazione esprime forti perplessità sulla disponibilità reale del denaro (”forme di copertura finanziaria dagli esiti incerti”).
Allora meglio spendere tutti i pochi euro realmente disponibili subito per costruire nuove case (il piano regolatore della città deciso in tre giorni): lavori senza gare da affidare agli amici delle cricche, nastri miracolosi da tagliare, opinione pubblica da manipolare. In una parola: speculazione e devastazione del territorio.
Sullo sfondo una popolazione dispersa, stremata da otto mesi di tenda (questo si che un record!), un territorio militarizzato dove erano negati i diritti costituzionali di parola e di riunione. La partecipazione era “vietata”, la trasparenza derisa, nessuno doveva disturbare il Manovratore, c’era l’emergenza.

Solo una minima parte della popolazione ha avuto accesso ai nuovi alloggi. Un terzo è dovuta andare via dalla propria Terra. E della città, quella nostra che ci ha visto crescere, chi se ne frega. Diventerà un museo, una “nuova Pompei” disabitata, circondata da squallide periferie, senza le nostre 99 piazze e fontane.
Tanto tra un po di anni, quando sarà palese l’inganno della non-ricostruzione, della mancanza di fondi, l’attenzione si sarà abbassata e magari voi non sarete più al Governo del Paese e delle istituzioni locali. E dunque, a voi che vi importa?
Meno male che almeno ci godiamo i grandi vantaggi che ci avete portato con l’organizzazione del G8! Ricordate le promesse e le passerelle?

Stessa storia si profila per l’ordinanza sulle macerie: un piano senza nè capo né coda, un’ordinanza scritta senza alcuno confronto, l’ennesima occasione di spartizione del bottino e di guadagno sulle pietre centenarie della nostra città.
Al contrario per noi L’Aquila deve rinascere dalle sue macerie che debbono essere occasione di rilancio dell’economia e di lavoro per i nostri giovani.
In queste domeniche l’abbiamo dimostrato concretamente: si può fare.
Si può differenziare e riciclare con attenzione ed amore. Si possono riutilizzare gran parte dei materiali per la ricostruzione delle nostre case.
Si può fare, si deve fare.
Ce lo dicono i nostri tecnici, ce ne accorgiamo noi mentre lavoriamo: buttiamo poco materiale, gran parte è immediatamente riutilizzabile, un’altra parte è diviso tra plastica, carta e ferro. Lo possono fare i nostri giovani, organizzati in cooperative. State certi che ci impiegheranno meno dei 24 mesi da voi previsti (e le vostre previsioni …). E lo faranno per bene, con rispetto per quelle pietre.
La localizzazione dei siti di stoccaggio poi è paradossale. Li avete scelti senza consultarci? PROVATE, PER ESEMPIO, AD ANDARE A CAMARDA, A PAGANICA: AL FIANCO DEGLI ABITATI DI QUELLE FRAZIONI CI SAREMO TUTTI.

Le forze di buona volontà di questo territorio si sono unite per dare una speranza al futuro.
Tanti altri porteranno il loro contributo, al di là degli schieramenti politici.

Ogni domenica le nostre carriole vi dimostrano che riciclano più macerie di quelle che voi avete tolto in un anno.
Ogni domenica le nostre carriole mandano in pezzi la vetrina mediatica che avete costruito sul nostro dramma.
Ogni domenica le nostre carriole vi gridano che siamo montanari testardi e ostinati, attaccati alla nostra Terra.
Ogni domenica le nostre carriole vi ricordano che con noi ci dovete fare i conti. Non potete fermarci.

Pensate che guaio se, carriola dopo carriola, L’Aquila diventasse un esempio di risveglio civile per i cittadini di tutto il Paese!

PENSIERI E TESTIMONIANZE DEL VISSUTO

Sarebbe bello bloccare le lancette del tempo e farle fermare prima di quel maledetto 6 Aprile. Cancellare quei maledetti 28 secondi e far finta ci siano mai stati. La vocina di mia figlia Valeria che mi dice: “Grazie mamma per avermi rubato lo spazio nella macchina e grazie per gli auguri oggi è il mio compleanno, oggi è il 7 Aprile.” Sporca, frastornata mentre mi guardo allo specchio dell'autogrill dove abbiamo dormito...! Maledetto “sisma”, “terremoto” o come diamine vogliamo chiamarlo -Terribile- Mi sento sola.... triste.... stanca.... Ma soprattutto mi sento inerme! C'è un terremoto nel terremoto! Nella mia anima, nella mia famiglia. Vecchie crepe che si sono allargate. I giorni passano sempre uguali, lenti, sempre con gli stessi ritmi;anche se non più quelli di prima adesso sono grigi e monotoni. Mi guardo intorno: Mia madre -82 anni- di ossa sofferenti e la vita che non le ha risparmiato nulla, proprio nulla. Le ha tolto anche l'ultima cosa che aveva: La sua casa! Viva per miracolo... “Miracolata” è il caso di dire. Piange lacrime che non riescono più ad uscire...
Lacrime asciutte che non riescono neanche a rigarle il viso. Mi guardo anche io. Torno nella mia casa a Pettino...(materialmente il 29 Aprile) Apro la finestra, guardo fuori, palazzi striati, tapparelle chiuse aperte, panni stesi, sembrano bombardati... E' spettrale. Pettino, no! Baghdad è QUI.... Penso a l'Aquila “bella me”, alla Basilica di Collemaggio, ai vicoli, alle nicchie di San Bernardino, riaffiorano i ricordi della mia adolescenza!! Vorrei non pensarci e dimenticare... “Immota manet”. Prima per me era un difetto invece l'unica volta che dovevi restare ferma non hai potuto farlo.... Mia piccola, mia antica, mia bellissima Città.... Dove sei sepolta? Ricostruire.... Si ma come? Da dove ripartire? Le anime, le rughe degli anziani, i cuori affranti, le sensazioni.... dove trovare la forza? Abruzzo forte e gentile.... Dove ritrovare la gentilezza nel nostro cuore malato di sofferenza? Vorrei strapparmi i capelli, piangere, gridare, urlare.... Far tornare tutti quei ragazzi sfruttati nelle case fatiscenti! Unico reddito di una città senza lavoro.... Vorrei stringervi tutti e cullarvi... Vorrei dare amore e riceverlo... C'è ne tanto bisogno in questo momento! Aiutateci a rinascere ancora... Vorrei che il simbolo della città tornasse... Il rapace al suo posto (non me ne vogliano gli animalisti) simbolo di libertà, di fierezza e di orgoglio. Vorrei che Tu tornassi a sorridere e a volare... Volare, vivere e gioire....
A guardare quel cielo così azzurro, costellato dalle tue verdi montagne! Perché noi torneremo tutti... Saremo ancora di più, più forti, più uniti e più gentili che mai!
Antonella '60
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RISVEGLI


Dal sonno passai alla coscienza.
Ma la coscienza era un'allucinazione che la mia mente razionale non capiva.

Ricordo. Le mie braccia alzate verso l'alto da cui pioveva la calce.
Ricordo. Che ero stesa nel letto e saltavo rigida e orizzontale come scossa da una mano implcabile.
Ricordo. Il rombo insopportabile e il boato.
Ricordo. Le mie grida non più umane. E quelle dei miei figli e di mio marito nell'altra stanza.
Ricordo. Che pensai il morire. Mentre la casa era viva e saltava su se stessa.
Ricordo. Che l'intera città gridava dentro di me.
Ricordo. Che volevo i miei figli.

Poi si fermò.

Poi cigolò.

Poi il silenzio.

Poi la luce. Ma era notte.
Poi la calce bianca che mi avvolgeva.

Ero in piedi di scatto, come un balzo e cercai la strada.

Un mobile mi cadde. Lo lanciai lontano. Verso la finestra piena di luce bianca. (Ma le serrande le avevo tirate giù).

Ero fuori di me. La forza non era la mia. Il corpo non era il mio. La voce non era la mia.

Aprii la porta della camera con fatica (Ma io non l'avevo chiusa).

E trovai mio marito e i miei figli. Davanti a me. Vivi.

Fuori.
Dovevamo andare fuori.
Subito e fuori.

Sentivo cigolare.

Mio figlio e mio marito avevano le torce.

Io seguivo la luce di mio figlio.

Senza occhiali.

Senza fermarsi.

Fuori.

Camminavo in terra straniera. Non era più casa mia.
Camminavo nella calce.
Camminavo su terreno sconnesso. Erano i mobili. Erano i miei libri. Erano le librerie.

La porta di casa era spalancata.

Non guardai. Non guardai l'ascensore caduto.

Mio marito dietro ci urlò di non prendere le scale, ma cosa potevamo fare mio figlio ed io? Scendemmo.

Ricordo. Le mura squarciate.
Ricordo. Le scale sconnesse e infrante.
Ricordo. La calce su noi.
Ricordo. La luce surreale.

E fummo nell'androne.

Fuori.

Oltre l'atrio.

Fuori ci si salva.

E fummo fuori.

Era crollato tutto attorno a noi.

Guardai nella notte coi miei occhi che non vedevano, in una luce lunare tersa riflessa dalla calce intorno. Nitida. E vidi. E non capii. Sentii parlare mio marito. Sentii piangere. Sentii. Le persone uscite con noi.

Io riuscii solo a dire: "Sono crollate le mura della città".

Poi mio marito mi disse: "Quello è un tetto".

Guardavo la strada di casa nostra e non capivo. Non registravo. Che fosse un monte di macerie. Che ci fosse un tetto inclinato sopra. Che quel tetto un minuto prima fosse stato altrove. E che ora io lo stessi guardando così da vicino.

Bisognava fuggire via. Portare via i nostri bambini. Mia figlia in braccio a mio marito. Mio figlio davanti a me che mi faceva strada.

Via.

Ci arrampicammo su quelle pietre sventrate. Su quei tubi divelti. Oltre tetto. In alto. In alto.

Nel cigolio orribile della notte.
Sulle pietre roventi.

Salendo, la mia mente mi portò in vari luoghi. Uno era la mia gioventù. E in secondi frammentati mi apperve l'Irpinia. E poi le schegge di quelle liriche greche che conducevano all'Ade. Poi dante era una voce dentro me. "Per me si va nell'etterno dolore".

Adesso. Solo adesso capivo cosa intendeva. Una vita per capire. Ora sapevo.

Salendo pensai che avevo portato i miei figli all'inferno. Ora l'inferno aveva un volto e un senso.

Salendo pensai a Gaza e a quando permettiamo che quello che vivevo fosse fatto dall'uomo ad altri bambini.

Salendo non ero me. Ero solo terrore.

In alto, la geografia era cambiata. Quella che era una piazza non era più. Metri di macerie cambiavano il nostro mondo.

E solo in alto capii. La mia mente accettò di capire.

Non erano mura. Non erano pietre. Non erano tetti.

Erano case crollate.

E dentro le case c'erano i miei vicini di quartiere. I ragazzi che avevo visto rientrare con la valigia quella domenica. Le ragazze che stavano nel semi-interrato con il loro computer. E il ragazzo col cellulare spaventato dalla scossa serale. E il signore anziano con la sua famiglia che vivevano al piano terra.

Solo allora capii.

Solo allora.

Nel freddo e nel buio. Nel silenzio assurdo e immobile di quella notte. Mentre una mano compassionevole ci lanciava una coperta con cui coprire i bambini, i loro occhi, le loro spalle. Solo allora riuscii a capire. Nell'odore del gas che ci avvolse. Nel rombo che tornava della terra. Nel fruscio di palazzi che si frangevano.

Nelle grida di chi stava sopra e che cercava.

Nel pianto isterico.
Nella risata isterica di un rigazzo.

Allora capii dove eravamo entrati. E che confine avevamo varcato.

Poi cominciarono le voci, da sotto.
(Anna Guerrieri)

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NELLA NOTTE
E la notte trascorse così, in mezzo a quelle case trasformate e sconvolte, in mezzo allo squassamento di quel cemento armato così piegato, spezzato, divelto.

Non potevamo affrontare quelle motagne infrante. Non coi bambini. Non a piedi nudi. Non con me sotto shock. Non potevamo percorrere il lato che dava sulla montagna di Via Cola dell'Amatrice perchè non sapevamo cosa ci avrebbe aspettato lungo una costa di montagna.

Eravamo lì. Fermi. Tremando.

Eravamo una quindicina di persone? Non lo so. Forse di più.

Non avevamo i cellulari, qualcuno ce ne prestò uno. Nel gas e nella calce che ci circondavano. Chiamammo le nostre famiglie a Roma. I numeri che la nostra memoria permetteva. Piangemmo la nostra paura. La urlammo. Mentre arrivavano altre scosse. Chiedemmo di venirci ad aiutare.

Ma non fu facile per loro immaginare di prendere una macchina e venire.

E nel buio le scosse successive sembravano volerci spazzare via per sempre.

Dopo un'ora qualcuno era in cima a quelle montagne di detriti. Credetti fosse un vigile del fuoco.
Solo più tardi scopersi che era un ragazzo che cercava di fuggire e che si fermava alle grida che venivano da sotto.

Perchè erano macerie vive. Dolenti. Quelle che erano diventate la nostra vita per una notte.

Il dolore mi sconvolgeva. Non ero in grado più di intendere e volere alcunchè, nè di decidere.

Sentivo la morte che era tra noi e ci passava accanto, scegliendo.

La mia mente era così fuori di sè che temevo ci potessero cadere addosso gli altri palazzi. Temevo che la terra si squarciasse. Solo mio marito riusciva a tenermi fuori dall'allucinazione che vivevo e a richiamarmi indietro dalla paura e dallo shock. Io sentivo solo come un animale che dovevo portare via i miei figli da lì.

Sentivo, come per istinto, quello che era successo a pochi metri da noi, lungo la via che ci congiungeva a Campo di Fossa. Sentivo che si potevano aprire voragini a inghiottirci.

I miei erano i pensieri del terrore di quella notte.

All'improvviso focalizzai che c'erano voci da sotto, che piangevano. E quel ragazzo che era sopra, quello che io scambiavo per un vigile del fuoco, ci chiese di chiamare un nome. Una ragazza. Per tenerla in vita. Lui cercava aiuto.
Chiamammo. Chiamammo. Chiamammo. Chiamammo. Chiamammo piangendo.

So che quella ragazza si è salvata. Questo è un pensiero gentile in me.

Ombre nella notte ci raggiunsero. Ombre che cercavano i loro cari tra la Villa e via XX Settembre.

Ci dissero che Piazzale Paoli era una catastrofe come noi.
Ci dissero della casa dello studente.

E fu lì, che il mio shock esplose. Esplose all'improvviso, mentre pensai all'esonero per cui i miei studenti mi avevano chiesto delle ore extra per il lunedì. Pensai che li avevo fatti tornare io in quell'inferno. Pensai a quei maledetti palazzi accanto a me, pieni di loro. Pensai alle feste estive che davano e a come mi rallegravano e facevano piacere. Pensai.

E veramente ebbi il mio primo crollo di dolore.

Venni richiamata alla realtà dalla mia famiglia. Non potevo permettere a tutto quel dolore di uscire così.

Pensai che L'Aquila era distrutta. Pensai che era morta quella notte. Che noi eravamo vivi per caso e per finta.

Arrivò poi finalmente un amico, che con la divisa da guardia forestale riuscì a farci scivolare in un vicolo tra casa nostra e un altro palazzo, per rifugiarci davanti ad una villetta che dava direttamente sulla costa di montagna. Al riparo. Lontani da quelle macerie che grondavano sangue.

E fu così che entrai in una macchina, sotto una coperta, con mia figlia piccola.
Fu così che qualcuno diede delle felpe ai miei bambini e un pò di ristoro.

Mentre aspettavamo di essere salvati.

E fu così che arrivarono le prime notizie: da Collemaggio, da via XX settembre più giù, da via Sturzo che ci era accanto, da Campo di Fossa sempre più tragiche, dall'Ospedale, dal cuore del Centro.

Fu così che entrammo tutti nella nostra vita di adesso.

Noi, i sopravissuti.

Fu intorno alle 10 che mio marito riuscì a rientrare in casa. In mezzo alle continue vibrazioni che ci informavano di essere sempre preda del mostro che ci possedeva. Fu allora che potemmo davvero vestirci. Chiamare al telefono. Fuggire intorno al mezzogiorno.

La mia voce era mutata nella notte. Era rauca. Forte. Un urlo.

L'Aquila moriva e moriva dentro me. E non era un'idea, era la realtà tangibile. Era morte vera.

Sentivo la città crollare dentro di me.

Camminammo a piedi rasentando la montagna. Vedemmo gli squarci alla luce del sole. Seguimmo una spaccatura che si era aperta nella strada. Andammo prima a Scoppito da amici e poi la sera ci rifugiammo a Roma.

A lungo, guardano i palazzi di Roma li ho visti all'improvviso coprirsi di crepe e crollare. Incongrua visione nella dolce primavera romana.
( Anna Guerrieri)

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Ero a casa con il papà, la mamma, il fratellino e il cane, la notte della Domenica delle Palme.
Poco prima, quelli della Protezione Civile ci avevano esortati a ritornare alle nostre abitazioni.
Non era il caso di cedere a facili e stupidi allarmismi diffusi da imbecilli che avevano chissà quale interesse a diffondere il panico. C’erano decine di scosse al giorno e questo faceva capire che l’energia si stava sprigionando e non era prevista una spallata.


Alle 3.32 “la spallata” ci colse nel sonno, ma eravamo andati a letto vestiti. Quindi prese le nostre cose e scappammo. riuscii appena, nel panico, a mettere in tasca l’IPode e il cellulare.
Per tre notti dormimmo in macchina mentre io ripetevo, come in una cantilena rassicurante, le stesse domande che non trovavano mai risposta.
“Che succederà, che succederà. Mamma, dimmi che non succederà mai niente”.
Poi trovammo una sistemazione in tenda da otto dividendola coi nostri vicini di pianerottolo. Quattro brande alla mia famiglia e a me toccò anche un armadio di plastica e un comodino.
Tornammo a casa per prendere le prime cose e la terra ancora tremava.
Non ci fu il tempo per guardare tutto con attenzione. Eppure sapevo che le mie cose non le avrei viste forse più.
Ma la terra tremava.


Presi il portatile il cavo e qualche vestito, qualche indumento intimo. Le coperte.

Il mio diario, i miei libri (studiavo ingegneria civile), le mie letture, il mio bicchiere per la notte, le foto dei miei ex, i poster, i miei CD e tutti i miei film, la vecchia TV che mi ero portata in camera, lo stereo, Dolly la bambolina che mi aveva accompagnata nella mia crescita. E il posto solito dove si metteva il cane. La mia stilografica, i miei vestiti, quello buono per quando mi sarei laureata (ancora mai messo), e le mie creme, le lettere, le chiavi del mio amatissimo motorino. Guardai il salotto buono e quello moderno dove troneggiava un grande plasma ricoperto di polvere, i lampadari, le argenterie e le foto dei cari defunti che la mamma teneva sul comodino per custodirne il sonno e che –forse- avevano messo una mano su di loro e li avevano salvati.
La porta di casa si chiuse su tutto questo e sull’incertezza di riprendere la loro vita.
Ma erano loro, erano vivi, il cane stava bene. Sotto i piedi la terra tremava e non ci pensai poi tanto," Il pensiero è sfatto,
è la pena più grande,
anche se strapparsi di dosso gli oggetti è doloroso,

bisognava andare. "

Solo, mi si fermò il respiro in gola quando scendemmo giù al livello dei box e ci rendemmo conto che il palazzo era completamente imploso. Era sceso di due piani sulle fondamenta. Il mio motorino non esisteva più.

" Il suono delle macchine è come il calcare dell’acqua che sgorga singhiozzando sui pregiudizi,
le isole libere della mente vogliono restare tali.
A graffi per difendere questo diritto sacrosanto.
E la trivella continuava a lavorare imperterrita e insopportabile ""

MARCHE E UMBRIA / ABRUZZO

Un continuo paragone tra le due strategie di ricostruzione, UN VOLANTINO per pubblicizzare l'efficentismo ma...

Un paragone chiaro ed efficace richiede però un’attenta analisi dei dati di fatto, dei numeri, della realtà dei due programmi e degli effetti previsti e verificati.

67.500 i cittadini abruzzesi evacuati dalle proprie abitazioni nelle ore successive al sisma del 6 aprile. Poco più di 22mila gli sfollati umbri e marchigiani nel 1997. Precisamente un terzo di quelli aquilani.


In relazione a ciò, i fondi programmati e stanziati dal governo italiano e dalla regione Umbria (attraverso diversi mutui contratti dall’ente regionale al preciso scopo della ricostruzione) ammontavano complessivamente a 15mila miliardi di lire. 7,75 miliardi di euro.

Per il dramma aquilano, con proporzioni di devastazioni triplici, lo stato italiano stanzia appena 5,8 miliardi di euro, cui vanno aggiunti i 4 miliardi programmati dal CIPE e sottratti dalla quota di fondi previsti per lo sviluppo nel Mezzogiorno e i 470 milioni stanziati dall’Unione Europea.

10,2 miliardi complessivi, comprensivi di risorse finalizzate allo sviluppo economico, alle esenzioni fiscali, ai sistemi contributivi e ai lavori di messa in sicurezza, per una porzione di paese che, invece, secondo i resoconti ufficiali dell’Unione Europea per la sola ricostruzione infrastrutturale necessiterebbe di oltre 10 miliardi di euro.

Una comparazione accurata tra i due sistemi di spesa, richiede un’analisi dettagliata per il capitolo di spesa più importante: gli stanziamenti per la ricostruzione privata.

Per Umbria e Marche, a fronte di 27.781 interventi di ricostruzione per edifici privati, vennero stanziati oltre 5 miliardi di euro. In Abruzzo il monte complessivo di fondi per la ricostruzione privata ammonta a 3,1 miliardi di euro, spalmati dal 2010 al 2032, per un numero di abitazioni colpite oltre a 34mila unità escluse le case A

Esclusi eventuali fondi FAS, per i primi 4 anni saranno disponibili 800 milioni di euro. Meno di quanto messo a disposizione nello stesso tempo per Umbria e Marche.

Altro confronto, quello sulla strategia di ricostruzione. In Umbria dopo 3 anni, il 65% delle persone era tornato nella propria casa perfettamente a norma o abitava in una casa di nuova costruzione al posto di quella vecchia. Il restante 35% usufruiva del contributo di autonoma sistemazione o dei moduli abitativi temporanei (l’11%).

Per L’Aquila il piano di ricostruzione ha concentrato l’attenzione sul piano C.A.S.E. piuttosto che sui moduli in legno. L’assenza di un vero piano di realizzazione di case in legno o mobili (con un costo pari ad un terzo di quelle temporanee in cemento armato e prive di problemi di impatto ambientale) ha comporto ancora la presenza, di diverse decine di migliaia di persone assistite dalla Protezione Civile.

Infine, ultimo raffronto: la questione dei tributi. Un raffronto immediato. Sospensione del pagamento delle tasse per due anni e recupero del 40% degli arretrati dopo 12 anni in Umbria. Sospensione del pagamento dei tributi per 16 mesi e recupero del 100% degli arretrati per l’Abruzzo.

CASE SENZA CITTA' PERIFERIE SENZA CENTRO

Quella delle C.A.S.E. è stata la più grande operazione di marketing dell'era moderna. Una "grande dimostrazione di solidarietà e di efficienza" che finora, fuori dall'Aquila, è riuscita a mascherare bene la pressoché totale assenza della ricostruzione vera.


Case senza città, periferie senza centro, cittadini senza città - di Sonja Riva

L'Aquila un anno dopo non è una fiaba a colori, con tanto di nuove case superaccessoriate, dove ora vivono gli aquilani, felici nel loro happy end. Gli aquilani felici proprio non sono. Li abbiamo visti negli autobus, confusi nell'informarsi su come fare per raggiungere luoghi che non sanno più nemmeno dove si trovano. Seduti con gli occhi svuotati, pieni solo dell'assenza di quello che non c'è più. Sfiduciati e spenti, soprattutto gli anziani, oppure agitati in un muoversi frenetico e fuori luogo, lungo le poche strade cittadine, ora invase da un traffico che neanche una megalopoli può vantare, dentro ad automobili diventate rifugio, dove sentirsi almeno un minimo a casa, autonomi e sicuri. Ad un anno dal terremoto, l'Aquila sembra un pugile stordito, che barcolla sulle gambe, mentre l'arbitro della politica lo guarda senza sapere bene cosa fare. Un anno dopo la distruzione di interi paese e frazioni, il centro storico aquilano annientato, 70 mila sfollati e 307 morti, molto è cambiato, ma appare ancora poco: non tutti hanno ancora una situazione abitativa stabile, chi vive ancora negli alberghi della costa, chi in situazione di fortuna. Il centro storico è ancora invaso dalle macerie ed è lì come rassegnato in una spettralità congelata nella mancanza di tracce di vita, in una desolazione oggi più perturbante di ieri. Un centro storico che appare come una gigantesca scenografia, una ricostruzione finta, di cartapesta nella sua vita vera ormai inesistente dei suoi colori quotidiani, delle sue voci, del suo rincorrersi di abitudini. Ad oggi manca ancora un progetto urbanistico, un piano di ricostruzione, chiarezza su come si procederà per far ripartire le attività commerciali del centro, e l'economia tutta, ma anche progettualità quotidiane, che nell'immediato possano almeno rinsaldare il tessuto sociale strappato dallo smembramento di collettività ora sparse nelle diverse New Town, i nuovi insediamenti costruiti dalla protezione civile, che sono diventati tanti satelliti periferici sostitutivi di un centro che non c'è più, gradevoli, ma nei quali non ci si può riconoscere, perché nulla parla di loro, delle loro vite e delle loro storie. Fortunatamente, le persone costituite in associazioni, in collettivi, in comitati, unite dal profondo desiderio di riappropriarsi della loro città e del loro centro storico hanno animato le domeniche delle carriole, invadendo in tanti il loro centro, ancora chiuso e inaccessibile, con carriole, secchi e guanti, iniziando simbolicamente a liberarlo dai detriti. Per ritrovarsi, lì sì davvero tutti insieme, nel far sentire il loro sgomento, la loro voglia disperata di esserci e continuare a essere considerati cittadini veri e propri, dei quali tenere conto nei piani di ricostruzione, nelle loro vite future e nella loro città futura.

PICCOLO GLOSSARIO, parte II, seguito da Lettere d’amore alla Protezione Civile e Leggenda

RUMENA, la solita…
I castelli della Loira sono abitati da fantasmi romantici, quelli della Scozia da inquiete presenze sanguinarie; a Cerreto Guidi, la triste storia di Isabella de’Medici affascina e commuove i visitatori… “La solita rumena” è il fantasma che rende inquiete tutte le palazzine del progetto C.A.S.E. e, al contempo, mette a nudo la loro anima, ahimè troppo umana e debole. Nelle infinite varianti che può assumere la sua ectoplasmatica essenza, l’hanno avvistata in molti, e ne fanno argomento di conversazione quotidiano nei due – tre bar rimasti aperti in città, stupefatti della sua sovrumana resistenza. Per qualcuno è una rumena-albanese, per altri una rumena-sudamericana, c’è stato persino un caso di avvistamento di una rumena-polacca, con tanto di griffe papale sulla maglietta, sempre molto accollata. Si ha qualche notizia di tentativi di esorcismi collettivi, per allontanare dalle soglie l’aborrito odore del gulasch e del borsch, con suffumigi a base di aromi concentrati di amatriciana e salsicce all’aglio. Invano. Notoriamente, le salsicce all’aglio servono solo per le rumene-rumene originarie della Transilvania: avvistamenti, almeno per ora, non riportati.



TERREMOTO, s.m.
Spettacolo di dubbio gusto, inscenato preferibilmente al primo sentore di primavera. Dalle rare testimonianze di chi vi ha partecipato e ne conserva un ricordo sempre più sfumato (tipico dell’abbandono dello stato di trance), sembra essere l’estrema propaggine moderna degli antichi baccanali. I movimenti dei partecipanti sono improntati a “botte”, “salti” e “scosse”, non meglio specificati ma devastanti negli effetti, di cui sembra si misuri in intensità assolutamente soggettive il grado. La fiumana di persone coinvolte, in forza del “furor” che le aggredisce, rappresenta uno dei pericoli migratori più acuti e rischiosi dei nostri tempi. Non solo avere un “terremotato” in casa è divenuto così sinonimo di sfortuna e calamità prossima, ma il mare dei “terremotati” può, nel suo dionisiaco furore, far a pezzi persone e cose incontrate sulla sua onda montante. Si veda quanto si narra dell’Aquila dove, il 6 aprile del 2009, un esaltato e innumerevole esercito di invasati ha praticamente raso al suolo la città con le sue danze e “fughe”, distruggendo un inestimabile patrimonio artistico e abitativo. I successivi decreti tesi ad allontanare dalla popolazione superstite persino l’uso di droghe leggere, quali caffè, tè o sigarette, miravano essenzialmente a ridurre le possibilità del ripetersi di un tale, preoccupante fenomeno di massa. L’alto rischio percentuale di un simile evento ha giustificato l’adozione di provvedimenti drastici ed impopolari, ispirati al contempo alla logica della sorveglianza continua e della drastica limitazione di ogni veicolo di contagio e comunicazione dell’infezione psichica (v. “Metodo Augustus”). Il “cordone sanitario” steso in tale occasione attorno alla popolazione residua, si è spinto fino alla necessaria adozione di misure limitative della libertà personale, alla lamentata e deprecabile assenza di spazi riservati nei campi profughi (finanche nei bagni pubblici), all’utilizzazione strategica della promiscuità tra età e sessi diversi per evitare – attraverso l’inibizione preventiva di ogni stimolo sessuale – il ripetersi di comportamenti antisociali .
Dell’oscura vicinanza tra terremoto e culti orgiastici o di trance si è poi ottenuta una drammatica riprova quando la lontana Port-au-Prince, capitale dell’isola di Haiti, notoriamente patria del voodoo, è stata colpita da analoga disgrazia, a livelli incomparabilmente più alti. Risulta che l’appassionato appello del Massimo Responsabile e Guida italiano perché anche lì si adottasse il “modello aquilano” sia stato drammaticamente ignorato. L’ancor più prossimo e devastante terremoto del Cile è facilmente riconducibile all’insieme di culti estatici di tipo sincretistico, diffusissimi nel subcontinente americano. Gli incidenti diplomatici connessi con l’esternazione di cui sopra, hanno impedito al Responsabile Massimo e Guida di portare il contributo della sua esperienza anche in quella sede. Fatti loro.



SOPRAVVISSUTO, agg. e s.m. (f. –a) [p.p. di “sopravvivere”]
Principio esiziale del tempo. Tutti, più o meno, si sopravvive. C’è chi sopravvive alla politica, chi al ’68, chi al crollo del muro di Berlino, chi al terremoto. Cialente è sopravvissuto a se stesso.
Ottimo soggetto per istant-book che lasciano il tempo che trovano, ma costituiscono un insuperabile appoggio per rinforzare carriere politiche traballanti.









LETTERE D’AMORE ALLA PROTEZIONE CIVILE








Cara Protezione Civile,
ieri, mentre passavo per strada con l’amico mio nuovo, che andava a prendere un po’ di cose a casa sua, mi è capitato di ricordare i bei momenti passati insieme. Saranno stati i vicoli vuoti, sarà stata la pioggia che lavava via la polvere dei mattoni e delle rovine, sarà stato quel vedere scorrere per terra fiumi di acqua sporca che si mischiavano col dolore che sentivo dentro me… insomma, per la prima volta, mi è accaduto di pensarti con nostalgia.
Cara Protezione Civile, non mi sono mai chiesto, finora, ma tu, che ricordo hai di quei giorni. Ti manco? Senti ancora per me quell’affetto così deciso e protettivo? E dove sono andati i tuoi saggi consigli, le tue premure, i tuoi ricorrenti e indimenticabili segni di attenzione verso di me? Ah, come potrò mai dimenticare il momento in cui, incrociando per la prima volta il tuo sguardo, ho sentito come se mi sciogliessi dentro, e mi sono trovato attratto e protetto dal tuo capace ed abbondante petto generoso.
Cara Protezione Civile, dimmi la verità: chi stai assistendo, adesso? Mi hai già dimenticato, vero? Un amore fugace come i tanti della tua turbinosa vita, sempre in mezzo ad avventure audaci e spericolate.
Cara Protezione Civile, non te ne voglio. Sapevo dall’inizio che tra noi non sarebbe durato. Eppure, ecco, oggi, questo improvviso bisogno di scriverti, di sentirti, di farti sapere quanto il tuo ricordo rimanga indelebile dentro di me…
Cara Protezione Civile, ti prego: dimmi che non sono stato solo un’avventura!




DAL CENTRO OPERATIVO DELLA GUARDIA DI FINANZA




Spett.le Di.Coma.C.
Presso la Caserma della Guardia di Finanza
L’Aquila
Bazzano, 15 luglio 2009
Gentili Signori,
con questa mia vengo a significarvi quanto segue:
Io sottoscritto dott. prof. Generoso Magliacci, fu Emidio e Mariantonia, avendo appreso per la cosiddetta via breve che è in corso una gara d’appalto per la costruzione di un nuovo insediamento abitativo del progetto C.A.S.E., da situare sul territorio riportato in catasto alla partita 173653, foglio 131 p.lle nn. 397, 398, 197 e foglio 146 p.lla 178 del Comune dell’Aquila, per una consistenza di mq. 4816
poiché il suddetto terreno, per le particelle indicate e nella consistenza relativa è mia proprietà esclusiva dal 1978, come sicuramente si evince dagli atti in vostro possesso;
poiché la regolare registrazione dell’atto di proprietà è stata a suo tempo debitamente rimessa alle autorità competenti per il rilascio delle documentazioni d’uso;
poiché posso esibire regolare licenza edilizia datata L’Aquila 20 febbraio 1984;
poiché la mia casa insiste su detto terreno, di cui sono proprietario esclusivo, lo ripeto, dal 1978,
posso chiedervi dove cazzo intendete costruire le vostre case se qui c’è già la mia?
Distinti saluti.











LEGGENDA




Era estate. Il giorno preciso non lo ricordo e, francamente, preferisco evitare a voi e a me dettagli troppo definiti. Era un giorno di questa incredibile estate, uno dei tanti che abbiamo passato cercando di reinventare un significato alle nostre vite, di sollevare un po’ le anime dal peso che si portano dietro. Con Giannino avevo appena passato il confine di Porta Castello, che un solerte granatiere ci aveva fermati, interrogati, invitati ad andarcene alzando appena appena la voce. Giusto per farci capire che non scherzava. Che non era possibile scherzare, lì. A chiudere le sue parole col sigillo di un’autorevolezza persino soprannaturale, una piccola scossa – piccola, appena 2,8 – 3 gradi Richter – aveva fatto in modo che il suo “NO!” risuonasse ancora più a lungo dentro di noi.
Mi era rimasto dentro un desiderio frustrato, che cresceva e cresceva, complice il po’ di vino che Giannino e Gigi erano riusciti a farmi bere a cena, forse desiderando vivere un po’ di più le stelle di quella notte, forse per dimenticare le tante tristezze che i ricordi ci avevano portato, le tante cose che quel pugno di giorni, quel breve volgere di mesi ci aveva strappato. La città, la mia città, esita ancora a rivelare i suoi segreti a chi non la conosce, a chi non l’ha percorsa nei tempi perdendo dentro di lei e con lei le tante età della vita. Non per me.
Entrare non è stato difficile. Il varco c’è ancora oggi, ogni tanto lo controllo solo per dirmi che, volendo, potrei ripetere l’avventura. Un varco facile, sotto gli occhi di tutti, conosciuto da tutti noi che lo usavamo per scappare, per uscire di nascosto, per scendere non visti al fiume, per risalire e tornare a casa prima ancora che i genitori potessero avere il reale sospetto di cosa avessimo fatto nelle nostre scorribande a piedi, in bici, in moto… Sono entrato.
In fondo erano poche le cose che volevo rivedere. Da tutta quella distruzione mi interessava salvare i pochi ricordi che ora il tempo aveva fatto riemergere, le poche immagini assolutamente intime che potevano interessare al limite me, la mia ragazza di allora, la mia città che non c’è più. Tra la Villa Comunale e Piazza S. Giusta c’è, in un vicolo nascosto, una casa abbandonata. Nel “basso” a piano terra, visibile da una finestra con le grate un po’ fasulle, era una vecchissima Guzzi rossa, serbatoio a goccia, sellino mangiato dai topi, qualche striscia di colore ancora intatta e, soprattutto, un irreale cambio a cloche che troneggiava a destra. In una via ben conosciuta, a piedi piazza, un’edicola sacra appartata. Passavo di lì quasi tutte le sere e una signora anzianissima e curva sembrava aspettarmi per chiedermi, un giorno sì e uno no, se potevo mettere per lei un lumino acceso sul piccolo altare, troppo al di sopra della sua portata, e un po’ d’acqua nel vasetto della piantina a fianco dell’immagine sacra. Era diventata una piccola abitudine, fin quando, una sera, lei non si fece vedere. Né quella successiva. Né mai più. E dunque era diventato inutile accelerare i passi, o ritardarli, per far coincidere il mio passaggio col suo. E non mi ero mai chiesto, come invece stavo facendo ora, quante volte lei avesse accelerato o ritardato le uscite per trovare sulla sua strada quel ragazzo alto, cui non si vergognava di chiedere aiuto.
La lunetta, segnata e squassata, c’era ancora. Difficile leggere l’immagine al suo interno, e d’altronde il buio non aiutava certo. La Guzzi, invece no. Non c’era più il palazzo.
Allora ho cercato la casa dove, da adolescente, ho imparato ad amare i libri, il loro profumo, l’ordine misterioso e spesso esoterico che sottende al loro giustapporsi. Immaginavo le stanze che percorrevo avido, impaziente di trovare i testi che la mia curiosità inseguiva. La casa è ancora lì. Ho scavalcato la protezione del giardino, mi sono sdraiato nell’erba del piccolo prato dinanzi alla biblioteca. Ho sognato un po’.
È stato allora che ho iniziato a sentire che le cose, le ombre, le pietre stesse della città avevano una loro vita. E qualcosa di quella vita sembrava trasmettermisi. Come un vibrare, un silenzioso e dignitoso ritrarsi nell’ombra, un fievole far cenno alla mia presenza attraverso un crepitio appena appena accennato che gli scuri severi rimandavano alle tegole curiose, e queste suggerivano al muro del palazzo vicino, mentre poche pietre sofferenti, residue di un ingresso antico, giudicavano con accigliata superiorità il mio vagare solitario.
La città era insieme austera, familiare, ferita, estranea. Tra i tanti vicoli della mia infanzia mi sono nascosto alle ronde notturne, tra le macerie ho annusato gli odori della morte e della vita. Quasi l’alba, vicino a casa mia, ho ceduto al sonno. Erano le quattro, ed era bello chiudere gli occhi aspettando la prima carezza del sole.
Ho dormito? Non so. Ho sognato? Forse. Solo verso le sette ho iniziato a sentire, prima piano, poi sempre più forte, un suono dapprima debole e familiare che s’ingigantiva, cresceva, rombava fino a diventare impossibile, urlava dolente come un metallo compresso e battuto con ferocia. Il primo istinto è stato quello di fuggire. Di corsa, con appena il tempo di accendere la moto e scappare, a perdifiato, incurante del rischio che avrei corso se fermato. I vicoli, le strade in ripida discesa, e ancora, dappertutto, gli echi di quel suono. Ora dolce, ora martellante, ora trillante e ripetuto, ora lontano. Ma onnipresente. Dalle case vuote, dai palazzi abbandonati in fretta, finestre occhiute e spalancate mi rigettavano addosso quell’opprimente, insopportabile rumore.
ERANO LE SVEGLIE! A radio, a carillon, a trillo, a musica, a cucù; la mia, le vostre, le sveglie di tutta la città che si ribellavano all’abbandono, che continuavano imperterrite a segnare l’alba dei nostri giorni scomparsi, che ripetevano nel loro grido la voglia di non morire dell’Aquila, fino all’ultimo, esausto, lampo di energia della loro longeva vita elettrica. Erano le sveglie, esercito rumoroso e vigile, che mi richiamavano a una vita impossibile, trascorsa, di cui si rifiutavano di custodire silenziosamente il ricordo.
Erano le sveglie!

Marcello Gallucci

I PROGETTI DEL PRESIDENTE DI PROVINCIA " DEL CORVO"

I progetti di Del Corvo: scuole, strade, termovalorizzatori



Prima conferenza stampa del neo presidente della provincia dell'Aquila Antonio Del Corvo, che si è tenuta a sorpresa a palazzo dell'Emiciclo, sede del consiglio regionale, e non nei container dove ha trovato sede provvisoria la presidenza della Provincia.

''Una scelta non casuale - sottolinea subito il senatore e coordinatore del Pdl senatore Fabrizio Di Stefano per fugare perplessità - perché la vittoria strepitosa di Del Corvo suggella una filiera amministrativa coesa e dello stesso colore politico composta da Governo Regione e appunto provinciali che sarà importante anche per la ricostruzione.''

Prende parola il capogruppo Pdl in regione Gianfranco Giuliante, che siede alla destra del neo-presidente al posto del senatore Filippo Piccone bloccato dal traffico e in arrivo da Roma. Nel suo intervento Giuliante annuncia che la Provincia con Del Corvo avrà come priorità anche la crisi economica della valle Peligna, a lungo trascurata dalla passata amministrazione.

''Sarò il presidente di tutti i cittadini e di tutta la Provincia- esordisce Antonio Del Corvo - ed è ovvio però che il massimo dei miei sforzi saranno concentrati sulla ricostruzione dei centri storici. Per questo motivo come promesso ci sarà in giunta un assessore alla ricostruzione e sarà aquilano.

Alla domanda: E' pronto a battere i pugni sul tavolo del governo se non manterrà gli impegni sul fronte della ricostruzione?'', Del Corvo risponde: ''Agli amici del governo ho detto, io ci ho messo la faccia ora voi dovete mantenere tutti gli impegni, non mi dovete abbandonare, ma sono sicuro che ciò avverrà. Berlusconi mi hadeto che se non si a il Ponte sullo stretto non mi interessa, la cosà più importante è ricostruire L'Aqula''. '' La ricostruzione - aggiunge Del Corvo - spiega avrà canali di finanziamento privilegiati, stanziati dal governo e dalla regione, la Provincia non ha in questo ambito fondi propri, e quelli che ha deve utilizzarli per tutto il territorio provinciale''

Veniamo al programma di governo. Per quanto riguarda i rifiuti, settore in cui ha significative competenze l'ente provinciale, Del Corvo allude alla possibilità, consentita dal Piano energetico regionale, di realizzare termovalorizzatori, per risolvere l'imminente emergenza rifiuti, in particolare quella che grava sul territorio aquilano, dove ora a costi molto alti l'immondizia viene portata alla discarica di Lanciano.

Novità nel settore della formazione professionale essa andrà svolta nelle intenzione del neo presidente in azienda e non in ''asettiche aule'', perchè così non si creano posti di lavoro, come previsto dall'accordo Stato-Regione.

Del Corvo promette poi tagli ai costi della politica, a cominciare dagli enti partecipati dalla provincia, ''che sono luoghi di clientele e non creano lavoro, sarà difficile però metterci mano perchè ci sono situazioni stratificate''.

''Le infrastrutture che realizzerò - assicura del Corvo - sono quelle già stabilite e finanziate dal governo e dalla regione, cercherò però di accellerare i tempi''

Importante ambito di competenza della Provincia è quello dell'edilizia scolastica e Del Corvo su questo versante si dice sicuro di fare molto e bene: ''Il decreto Abruzzo - afferma infatti - stanzia molte risorse per mettere in sicurezza le scuole, e c'è un progetto pilota''.

6 APRILE

Ore 9,30 Piazza 6 Aprile GDF – posa della Corona – presso la Caserma della Guardia di Finanza –Via delle Fiamme Gialle- Coppito

Ore 11,00 S. Messa a S. Sisto con Padre Candido e Don Marco – Le Misericordie di Roma San Romano e Tavarnelle V.P- Barberino V.E. in collaborazione con la Misericordia dell'Aquila pianteranno un abete donato dalla Forestale AQ.
S. Messa a S. Sisto - Misericordia di Roma - pianterà un albero della vita

Ore 12,00 Atrio della Facoltà di Scienze – Università di Coppito – a cura dell’Università degli Studi dell’Aquila e dei Comitati Cittadini : Concerto de I Solisti Aquilani con Orchestra e Coro del Conservatorio di Musica “A. Casella” dell’Aquila, direttore Simone Genuini, mezzosoprano Silvia Pasini, musiche di Ravel, Haendel e Britten. Targa commemorativa dell’Università per studenti e studentesse vittime del sisma.

CENTRO STORICO : Catena Umana di Bambini - Zone: Fontana Luminosa, Via Castello, Via Zara, S.Bernardino, Corso, Piazza Duomo, FedericoII, Villa Comunale, Via Caldora, Via Strinella.

Ore 15,00 PARCO DEL SOLE (Collemaggio) : lancio di palloncini di tutti i bambini aquilani che alle 15,32 simbolicamente manderanno i loro messaggi scritti ai compagni persi nel terremoto e la loro idea di ricostruzione.

Nel Piazzale di Collemaggio ogni bambino potrà inserire un messaggio di speranza in un palloncino. Verrà effettuato il lancio dei palloncini con la ripresa aerea

Ore 17,30 Chiesa di S. Maria del Suffragio
: Celebrazione Consiglio Regionale (Arcivescovo Giuseppe Molinari)


Ore 18,45 – Basilica di Collemaggio - Concerto Istituzione Sinfonica Abruzzese, Soc. dei Concerti Barattelli., I Solisti Aquilani, Orchestra Giovanile Abruzzese, letture delle “Città Invisibili” di Italo Calvino a cura del TSA - Coro di S. Cecilia - Conservatorio di Musica " A. Casella, letture da “Scene da un terremoto” di Maurizio Cerini a cura de L’Uovo Teatro Stabile di Innovazione, inserti video a cura dell’Accademia dell’Immagine, dell’Istituto Cinematografico dell’Aquila La lanterna Magica e dell’Abruzzo Film Commission.


Ore 20:30 Cinema Moviplex
CN CINEMATOGRAFICA e MEDIA DREAM FILM presentano:
COLPA NOSTRA il film di Giuseppe Caporale regia di Walter Nanni. Ingresso gratuito

Ore 21,00 Piazza Duomo - “Riaccendi la Luna” - Titolo: Riaccendi la luna:
Riflessioni sul terremoto di oggi in rapporto con le antiche narrazioni: presente e passato si sovrappongono tra dolore e forza nel ricostruire. Letture di testi attuali e storici con musiche originali di commento Proposto dalla Compagnia teatrale " I Funamboli" di Giorgio Pitone in collaborazione con la Compagnia di Musical Il Nodo. Musiche originali del Maestro Antonio Michilli Composizione del testo tratto dalle croniche di Buccio di Ranallo, di Francesco d'Angeluccio, del De Ritis e le relazioni del 1703: Giovanna Di Matteo Registrazioni delle basi musicali: Audiolandia Records - L'Aquila Documentazione fotografica cortesemente concessa dal Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.

5 APRILE 2010

dalle ore 9.00 in Piazza Duomo
Pasquetta all'Aquila per stare tutti insieme senza divisioni politiche, religiose o ideologiche.
Ciascuno porta qualcosa da mangiare e bere: dolci, panini, bevande etc.

Nel pomeriggio inoltrato partiranno le staffette (organizzate da
UISP e U.S. ACLI) da: Tornimparte, Poggio Picenze, Lucoli, Castelnuovo che
arriveranno in Piazza Duomo


Ore 20,30 PIAZZA DUOMO Accoglienza delle staffette UISP e U.S.
ACLI Corale Gran Sasso esegue"L'Aquila bella me"

ore 21,00 PIAZZA DUOMO Consiglio Comunale Straordinario con
presenza Sindaco di Roma Alemanno
ore 22,00 partenza fiaccolate da 4 punti:
PETTINO (davanti la chiesa) - ROIO - TORRIONE e SANT´ELIA.

ore 23,30 FONTANA LUMINOSA: accoglienza di tutte le
fiaccolate per partire alle 24:00 passando per
via Castello - porta Leone - Via Strinella - Via Caldora - Viale Collemaggio
- Villa Comunale - Corso PIAZZA DUOMO all'arrivo brano per archi del "Continuo Ensemble

ore 24,00 Accensione luci presso la Basilica di S. Bernardino,Via Garibaldi,
Corso Vittorio Emanuele.
Associazione Musei d’Abruzzo in collaborazione con Collettivo 99 .re-place interventi d’arte luminosi di Mario Airò


ore 3.32- PIAZZA DUOMO lettura dei nomi e ricordo delle vittime.
(n. 308 rintocchi di campana) -

maxischermo in contemporanea alla Villa
Comunale e a S. Bernardino.

ore 4,00 BASILICA DI COLLEMAGGIO Celebrazione della Santa Messa.

Presentazione dell'iniziativa

LA DERIVA ALLE 99 CANNELLE
Anche la tremante terra aquilana ha compiuto un giro ellittico attorno al sole

di Antonio Gasbarrini

Cosa dire o scrivere e, soprattutto cosa fare creativamente per rivivere con un pizzico di distanza emotiva la paurosa, sobbalzante, luttuosa nottataccia delle 3.32?
Una delle vie praticabili è indicata da questa Rassegna d’arte contemporanea già nel suo emblematico titolo e sottotitolo LA DERIVA ALLE 99 CANNELLE. Anche la tremante terra aquilana ha compiuto un giro ellittico attorno al sole.
L’aperto invito: lasciarsi andare liberamente tra i marosi ed i flussi irrigiditi di un’intera città pietrificata nelle sue rovine dallo sguardo malefico della Gorgone.
Per rileggerne, in un’anarchico vagabondare NON STOP tra le 21 del 5 aprile e le 21 del 6, le magistrali lezioni urbanistiche, architettoniche, monumentali ed artistiche lasciate in eredità alle future generazioni dai padri fondatori a partire dalla metà del Duecento.
LA DERIVA come metafora della macroscopica diaspora degli aquilani, montanari d’indole più che di nascita, approdati nell’aprile dello scorso anno in circa 30-35.0000 sulla costa abruzzese. Un esodo biblico e di massa, questo, mai verificatosi nella storia postbellica europea. Ovviamente anche per gli altri 30-35.000 ammassati nelle tendopoli e negli altri alloggi di fortuna, si è trattato di una vera e propria deriva esistenziale.
Nell’ambito delle arti visive la parola Deriva, è collegabile a due movimenti d’avanguardia: in modo indiretto al Surrealismo ed in maniera più appropriata al Situazionismo. Si è trattato, nella prassi avanguardista, di un approccio ludico, ma anche scientifico (a livello inconscio per i compagni di strada di André Breton e psico-geografico per quelli di Guy Debord) instaurato dall’artista con il territorio, mediante la deambulazione senza meta e senza scopo, o in aperta campagna (surrealisti negli anni Venti) o nella metropoli parigina (situazionisti, anni Cinquanta-Settanta).
LA DERIVA aquilana parte storicamente da ben altri presupposti. Innanzitutto si è di fronte all’impossibilità fisica di “camminare” nelle strade, vicoli e vicoletti del centro storico dell’Aquila reso irriconoscibile dal sisma. Sequestrato da un anno dalla Protezione Civile, ma da poco più di un mese riconquistato per qualche ora domenicale nei due lembi di Piazza Palazzo e Piazzetta Nove Martiri dal fiero Popolo delle carriole. Sfondando cancellate e transenne, facendosi sequestrare gli “attrezzi eversivi” (carriole, pale, secchi, rastrelli) e beccandosi promesse denunce penali da parte della Prefettura, su segnalazione della DIGOS (Divisione Investigazioni Generali Operazioni Speciali). E poi, occorrerà affidarsi esclusivamente alla propria immaginazione, per travalicare i “fili spinati” messi a tutela non già dei barcollanti palazzi, chiese e case, ma semplicemente per occultare tutta l’immondizia fisica e morale riversata sulle macerie da ignobili speculatori politici e imprenditoriali senza scrupoli.
Come dare una bruciante risposta a questa tragica situazione? Eccola: riappropriarsi, simbolicamente e visivamente, della città morta. In che modo? Il 6 aprile del 2010 ri/cominciando la risalita verso il Centro antico partendo dalla Fontana delle 99 Cannelle, ancestrale luogo-spazio imbevuto di una sacrale magicità rivitalizzata con le nove installazioni ispirate al sisma.
Avevo già auspicato in un mio articolo su internet: «Andando a zig zag e non in processione. Spostandosi a caso, per l’intera giornata, liberamente, senza cibo e senza meta, dentro le protettrici mura uterine della loro città fondata sull’acqua (Acquila è una delle etimologie più accreditate) ed innalzata con le pietre. Adesso sbriciolate, metamorfizzate in milioni di tonnellate di macerie indecorosamente ammucchiate da un anno – e lo si può constatare di persona nella fantasmatica Chiesa di S. Vito e nell’intero Borgo della Rivera – quasi fossero un puzzolente sterco e non già schegge impazzite d’una fragrante memoria sfregiata».
Nell’invocato rito di purificazione, si sorseggi ogni tanto l’acqua delle 99 Cannelle
“ amorevolmente raccolta” nelle 99 borracce recanti la firma degli artisti, «inseparabili compagne di strada dei camminatori di montagna. Guardando in alto per scorgere l’avvento ed assecondare il primaverile volteggio di un’aquila regale. Fermandosi per riprendere fiato. Perdendosi, ritrovandosi e abbracciandosi: nonostante tutto».

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Dalle stalle alle stelle: Anche la tremante terra aquilana ha compiuto un giro ellittico intorno al sole. Il sottotitolo della mostra ha inteso richiamare l’attenzione sul fatto che non solo il 6 aprile 2010 sarà trascorso un anno di calendario, ma un intero anno astronomico. Durante il quale, mentre la città fantasma dell’Aquila è rimasta paralizzata nel suo inquietante ammasso di rovine, la terra ha compiuto il suo dinamico ed ellittico moto intorno al sole, percorrendo circa 940 milioni di Km. Ma, la scoperta delle orbite ellittiche dei pianeti del sistema solare da parte di Keplero, rispetto alle consolidate orbite circolari vaticinate da Aristotile fino allo stesso Copernico, ha aperto le porte alla modernità concettuale di una diversa configurazione dello spazio, approdata, agli inizi del Novecento, nel rivoluzionario spaziotempo einsteiniano. Questo sottotitolo, inoltre, sottende un messaggio subliminale: un aperto invito, agli aquilani, oppressi e depressi per le loro attuali condizioni di vita e di non-lavoro, di guardare in alto, quell’alto stellato aperto solo al futuro ed in cui qualche giorno fa è stata individuata una galassia sconosciuta distante 10 miliardi di anni luce, da cui è possibile attingere ancora ammaestramenti metafisici, ma anche poetici.
Di conseguenza l’arte e la creatività, per la città spettrale dell’Aquila, dovranno essere già nel presente, e di più nell’immediato avvenire, il volano privilegiato della ri/nascita civile e culturale di una intera comunità attualmente ghettizzata nelle 19 little towns, nella dissestata periferia urbana, nelle malconce frazioni e comuni viciniori, negli alberghi e nelle sistemazioni autonome della costa e della Provincia.
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Di fronte all’abbandono in cui tuttora versano i Beni artistici, architettonici e monumentali distrutti o polverizzati dal sisma (non solo in città), le 9 installazioni di LA DERIVA ALLE 99 CANNELLE intendono porsi e proporsi, pertanto, come “cattiva coscienza” delle incredibili omissioni sino a qui registrate in materia di recupero e restauro dell’ingente patrimonio danneggiato. Su 3,5 miliardi di euro necessari, ne sono stati racimolati circa 35 (vale a dire un centesimo) con i più svariati stratagemmi. Si pensi alle fallimentari adozioni dei 44 monumenti da parte dei Capi di Stato intervenuti lo scorso luglio al faraonico G8 dell’Aquila.
Con la parola d’ordine “Ricominciamo dall’arte”, ogni artista invitato ha elaborato un bozzetto-progetto della sua opera germinata dal terremoto aquilano, sia in senso retrospettivo che proiettivo. L’immagine del bozzetto, insieme al testo di una dichiarazione poetica dell’autore, è stato inserito nel WEB, dove, oltre alla nota critica del curatore, saranno successivamente caricate le immagini ambientali dell’esposizione.
La Rassegna pur essendo effimera nella sua durata avrà una serie di risvolti documentali e mediatici. Tra gli altri, è prevista una ripresa filmica e fotografica dell’evento da parte dello scrittore e Reporter Sans Frontière Pino Bertelli, che saranno proiettate il 23 aprile alla Fondazione Morra di Napoli, in concomitanza della presentazione del suo ultimo libro.
Nell’impareggiabile scenario delle 99 Cannelle gli artisti VITO BUCCIARELLI / DOMENICO BOFFA / CRISTIANA CALIFANO / LEA CONTESTABILE / FABIO DI LIZIO / FRANCO FIORILLO / LICIA GALIZIA / SERGIO NANNICOLA / RAUL RODRIGUEZ esporranno le loro installazioni sulla base di una preindividuata, quanto concertante collocazione ambientale.
Sulla facciata o vicino alla diruta Chiesa di S. Vito Cristiana Califano propone l’opera Reconstruction, dichiarata metafora del noto videogioco Tetris applicato alla complessa ricostruzione aquilana. Dichiara l’artista: «La metafora del tetris è opportuna poiché è un gioco che “riesce” se si hanno le abilità per costruire e incastrare in maniera precisa e veloce tutti i pezzi. Una cattiva costruzione determina la perdita e quindi il Game over». Entro un paio d’anni sarà possibile valutare, da parte degli aquilani, come andrà a finire un gioco che sembra innocente, ed è invece cominciato con una serie di perversioni (per tutte, la compiaciuta risata dei due imprenditori qualche minuto dopo il sisma).
Sempre all’esterno della Fontana, Fabio Di Lizio erige il monumentale tripode in legno Frammenti, quale evocazione di un ex-voto per un ex-luogo. Un congegno parascientifico atto a misurare, con il solo ausilio della fantasia, la bontà dei selvaggi, quanto tardivi puntellamenti in corso nella città:«L’opera Frammenti traduce sensibilmente le architetture di contenimento, della messa in sicurezza degli edifici danneggiati dal sisma. Non cerca di imitare la funzione, ma il senso. Il tripode che regge ed è a sua volta retto dal peso del masso, ne parla, lo esorcizza».
Anche Lea Contestabile affida il suo personale ringraziamento e quello dei concittadini scampati alla morte, incastonando tra le singole maglie della cancellata 308 poetici, angelici cuori bianchi. La medioevale inferriata, proveniente quasi certamente dalla Basilica di S. Maria di Collemaggio, sembra così una ringiovanita trapunta protettrice dei corpi maciullati: «Questi cuori bianchi dedicati alle 308 vittime del terremoto aquilano sono di garza, un materiale usato per lenire le ferite e risanare il corpo martoriato. Sono lì a ricordarci che quei morti sono i morti di tutta la città e che ognuno di noi è tenuto a conservare e a preservarne la memoria per tutti quelli che verranno».
Raul Rodriguez tende la sua grande tela di ragno della memoria lacerata, dal pavimento al cielo, per raccontarsi e raccontare scenograficamente la temeraria sfida lanciata dal Popolo delle carriole non già al destino o agli dei, ma a tutti gli incalliti imbroglioni mediatici che hanno fatto passare il rassicurante messaggio di una ricostruzione mai cominciata: «Come il narratore ambulante di Mario Vargas Llosa, racconterò le miserie dell’uomo in questa città ferma nel tempo, così qualcuno racconterà a suo figlio come, nell’Impero, il popolo degli uomini che camminano sappia cosa è successo in questo mondo a specchio, dove la gente ha perso la sua ombra».
Sergio Nannicola, alle estremità di due travi incrociate per evocare urbanisticamente gli antichi Quarti in cui era divisa La città negata / La città sospesa (titolo dell’opera), appende, ma anche sospende a mezz’aria, altrettanti sacchi di plastica trasparenti riempiti con le macerie e gli oggetti prelevati personalmente in ognuna delle aree urbane martoriate «a testimonianza di una distruzione che a un anno di distanza non trova ancora la strada della ricostruzione. Storia – Arte – Memoria – Presente e Futuro delle persone restano dunque prigioniere di un’attesa senza tempo».
Anche Franco Fiorillo e la sua Una storia alla deriva interloquiscono con l’increspato andirivieni memoriale, salvando dentro 9 bottiglie galleggianti in una delle grandi vasche della Fontana (l’oceano), i frammenti sismici insieme all’immagine fotografica della destrutturata forma originaria: «Questo è il senso: non so se rimarrà qualcosa né come questo avverrà, tutto è nuovo. La cosa certa è che la storia di cui persino la polvere è intrisa, diviene rifiuto, cambia forma».
Dolore, speranza e viaggi ultramondani e agravitazionali s’intersecano, infine, nelle tre restanti opere.
Domenico Boffa completa alle 99 Cannelle il suo lavoro Duecentonovantanoveterzi iniziato all’indomani del sisma su facebook, esponendo tre teche bianche in rovere contenenti 299 “sorrisi mancati” incisi sulla paglierina carta da pacco. Affianchiamoci al suo sconvolto e sconvolgente attraversamento del WEB: «Ho realizzato un trittico incidendo con un taglierino su carta-pacco duecentonovantanove sorrisi, le vittime del sisma [tante erano al momento dell’input su facebook, ne diverranno 308, n.d.a], sorrisi alla Ensor. Era ancora poco, troppo poco. Ho pensato subito a internet, la rete che mi ha mantenuto in contatto con la vera realtà dei post-terremotati. Facebook poteva essere usato creativamente in maniera diversa. Come una tela. Ho iniziato a pubblicare sul mio profilo dall’undici giugno, ogni giorno, un sorriso diverso che componeva il trittico accanto al nome e alla data di nascita della persona scomparsa. Ogni giorno un nome, una data di nascita e un fantasmatico sorriso cartaceo. Questa operazione mi ha aiutato a stare un po’ più vicino al popolo aquilano, a non dimenticare». L’immancabile appuntamento con la DERIVA è fortunosamente arrivato 299 giorni dopo.
Quasi a controbilanciare l’inevitabile pathos dell’installazione precedente, Licia Galizia fa danzare i suoi colorati 99 nodi da sciogliere (in forex) nel vascone frontale della Fontana. In ognuno di essi enigmatici segni e parole-chiave si rincorrono alla stregua degli smozzicati, spesso confusi racconti che gli aquilani continuano a farsi reciprocamente sulla sventurata esperienza sismica e postsismica (provate a sopravvivere in una non-più-città sequestrata ed abbrutita in cui non è più consentito fare nemmeno i rilassanti, familiarissimi quattro passi al Corso): «Le parole sono quelle che in questo ultimo anno si sono ripetute e a volte sono state martellanti, ma sono anche riferite ad azioni poco lecite come ad esempio speculare, ridere, svendere».
Ne LA DERIVA ALLE 99 CANNELLE non poteva mancare il simbolo par excellance della tragedia: la tenda. Solo che entrando nel luminescente Luogo-tenda di Vito Bucciarelli, non si respira più l’aria stantia degli anonimi luoghi-spazio in cui sono stati stipati promiscuamente per circa 10 mesi esseri-numeri ridotti progressivamente a simil-larve. La verdeggiante energia fotonica sprigionata al suo interno è segno vivificatore del divenire eracliteo in quanto le sue irrinunciabili equazioni coincidono con: «La terra come territorio, il territorio come umanità, umanità come uomo, uomo come comunità, comunità come villaggio, villaggio come città: L’Aquila. L’Aquila nel tempospazio agravitazionale del luogo-tenda: contenitore e memoria».
Qui il visitatore può sedersi all’araba, stare in silenzio o raccontare quel che gli passa per la testa: quando si è ALLA DERIVA la parola “divieto” (di entrare nella zona rossa, ad esempio: provate a dirlo ai carriolisti) è scritta sulla fresca, rinfrescante e musicale acqua delle stupefacenti 99 Cannelle.