A metà ottobre la situazione aquilana è totalmente diversa da quella prefissata come obiettivo pochi mesi prima.
La ricostruzione delle case B e C è gravemente in ritardo e gli appartamenti del progetto C.A.S.E. che, secondo le stime ottimistiche, dovrebbero essere consegnati entro dicembre, si rendono insufficienti a soddisfare il fabbisogno abitativo. Per risolvere questo problema, previsto già da maggio dai comitati cittadini e da alcuni politici, si è finalmente decisa l’adozione dei M.A.P. (moduli abitativi provvisori o, come si suol dire, “casette di legno”) per le frazioni dell’Aquila, ai quali si aggiungerenno circa 500 case su ruote per coloro che ancora sono nelle tende e per chi risiede in abitazione che, pur non avendo subito danni gravi, hanno tempi lunghi per le riparazioni.
La negazione di soluzioni alternative al progetto C.A.S.E. per L’Aquila, da parte di Protezione Civile e Governo, si è rivelata una scelta fallimentare che ha determinato, per la prima volta nella storia dei recenti terremoti, che la popolazione colpita dal sisma restasse oltre sei mesi nelle tende.
La protezione civile avanza nella dismissione dei campi e invita i residenti a recarsi in alberghi a cento chilometri dalla città o in località difficilmente raggiungibili, ma per chi ha vissuto fino ad adesso nelle tende sembra assurdo doversi spostare ora. <
La drammaticità di quanto sta avvenendo non ha il giusto spazio nei media che, invece, raccontano quasi esclusivamente delle poche consegne del progetto C.A.S.E. o della millantata riapertura del centro storico che altro non è se non la rimozione dei divieti d’accesso al Corso Federio II e via San Bernardino.
Il fine di questo breve scritto non è di muovere critica ma solo di sollevare l’attenzione degli italiani sul reale stato delle cose, prima che i troppi proclami sensazionalistici nascondano alla Nazione l’oggettività del fallimento.(Roberto Tinari)
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